In
biblio, ho trovato una raccolta di saggi di Milton Friedman,
Capitalismo e libertà, Chicago
1962, prima edizione italiana Vallecchi 1967, ristampati da Studio
Tesi nel 1987.
Dal
primo capitolo, estraggo:
«Come liberali noi assumiamo la libertà dell'individuo, o forse della famiglia, come criterio supremo di valutazione degli assetti sociali. La libertà come valore in questo senso riguarda le inter-relazioni fra persone; essa non ha alcun significato per un Robinson Crusoè su un'isola lontana (senza il suo servo Venerdì). Robinson Crusoè nella sua isola è soggetto a “costrizioni”, a una limitazione del suo “potere” e dispone solo di un piccolo numero di alternative, ma tutto ciò non solleva alcun problema di libertà, nel senso che interessa la nostra discussione. Parimenti, in una società la libertà non ha niente a che fare con ciò che un individuo fa della sua libertà; essa non è un principio etico onnicomprensivo. Infatti, uno dei fini maggiori che il liberale persegue è quello di lasciare che gli individui risolvano individualmente il proprio problema etico. I problemi etici davvero importanti sono quelli che l'individuo deve fronteggiare nell'ambito di una società libera, e riguardano quel che egli debba fare della sua libertà. Duplice è, dunque, la serie di valori che hanno importanza agli occhi del liberale: i valori che riguardano le relazioni fra persone, che sono il contesto nel quale egli attribuisce priorità assoluta alla libertà; e i valori che riguardano l'individuo nell'esercizio della sua libertà, che è il regno dell'etica e della filosofia individuale.»
Fin
qui tutto bene, nel senso che quel che vede il liberale lo vedo
anch'io: la società non deve mettere becco su quello che un
individuo fa della sua libertà, salvo che l'esercizio della stessa
non vada a ledere la libertà di altri individui. La mia libertà
finisce dove inizia la tua.
Andiamo avanti.
«Il liberale considera gli uomini come esseri imperfetti. Egli ritiene che il problema dell'organizzazione sociale sia sostanzialmente un problema negativo: che si tratti, cioè, di impedire alle persone “cattive” di fare il male piuttosto che di mettere in condizione le persone “buone” di fare il bene; e, naturalmente, le persone “cattive” e “buone” possono essere le stesse persone, a seconda del punto di vista dal quale le si giudica».
Anche
qui mi sembra d'essere d'accordo. Il problema, grosso come Giove, è
stabilire qual è
il punto vista preferibile per giudicare
chi fa male e che cosa. Va sottinteso che sia un governo e un
apparato statale a far rispettare determinate regole, alla luce di un
dettato costituzionale redatto
da persone “cattive” o persone “buone”?
La
risposta più avanti.
«Il problema fondamentale dell'organizzazione sociale è quello di coordinare le attività economiche di un gran numero di persone. Anche in società di relativa arretratezza, un'ampia divisione del lavoro e specializzazione delle funzioni è necessaria per un efficace impiego delle risorse disponibili. Nelle società progredite, la necessità di tale coordinazione è infinitamente maggiore per poter trarre pienamente vantaggio dalle opportunità offerte dalla scienza e dalla tecnologia moderna. Addirittura milioni sono le persone impegnate nello sforzo di assicurarsi vicendevolmente il pane quotidiano, per non parlare poi dei beni di consumo durevoli come le automobili. Per colui che crede nella libertà, il problema essenziale è quello della conciliazione tra questa amplissima interdipendenza e la libertà dei singoli.»
Dopo
l'astrattezza della definizione di libertà, si inizia a entrare nel
concreto. Rileggere la prima frase due volte. Il problema
fondamentale dell'organizzazione sociale è quello di coordinare le
attività economiche di un gran numero di persone. Il problema
fondamentale dell'organizzazione sociale è quello di coordinare le
attività economiche di un gran numero di persone.
L'ha scritto un liberale.
Come non essere d'accordo su
questo e sull'ultima frase, da rileggere due volte anch'essa?
Per
colui che crede nella libertà, il problema essenziale è quello
della conciliazione tra questa amplissima interdipendenza e la
libertà dei singoli. Per colui che crede nella libertà, il problema
essenziale è quello della conciliazione tra questa amplissima
interdipendenza e la libertà dei singoli.
O
vediamo, avanti.
«In sostanza ci sono soltanto due modi di coordinamento delle attività economiche di milioni di persone. Uno consiste nella direzione centrale, implicante l'impiego della coercizione, e questa è la tecnica adottata dagli eserciti e dai moderni stati totalitari. L'altro consiste nella cooperazione volontaria tra individui, e questa è la tecnica del libero mercato.»
Zan.
Si stringe il discorso, si sta per arrivare al punto. Ma prima,
ribadisco: fino a qui sono liberale anch'io, nel senso che,
ovviamente, sembrano solo queste le opzioni possibili per coordinare
le varie attività produttive all'interno di una società umana e,
chiaramente, senza se e senza ma, sono indiscutibilmente a favore
soltanto della cooperazione volontaria tra individui.
«La possibilità del coordinamento mediante la cooperazione volontaria si fonda sul presupposto elementare – e tuttavia spesso negato – che entrambe le parti che intervengono in una transazione economica ne ricavano beneficio, purché la transazione stessa sia ispirata al principio della bilateralità e della volontarietà.»
E
tuttavia spesso negato. Spesso?
Siamo quasi al punto, che è questo: il sistema economico e
produttivo capitalista si fonda su un trucco, che è quello di far
credere alle parti in causa, prenditori (e
non datori) di lavoro e
forza lavoro di
operare alla pari mediante transazioni ispirate al
principio della bilateralità e della volontarietà; ma
la natura di questa transazione,
come ha spiegato circa un
secolo e mezzo fa Marx, nasconde ben altro...
[segue]