martedì 20 maggio 2014

In prima persona parlano

Sala d'attesa studio dentistico (per figlia). Appesi alle pareti due insulsi nudi di donna di un epigono di Klimt. Meglio la bocca di uno squalo. 
Ad un'altra parete, un televisore al plasma trasmette La vita in diretta. 
Sto cercando di leggere i Grundrisse (Il capitolo del Capitale)...
«È altrettanto impossibile passare direttamente dal lavoro al capitale, quanto lo è passare direttamente dalle diverse razze umane al banchiere, o dalla natura alla macchina a vapore».
... ma non riesco a concentrarmi. 
La conduttrice Paola Perego introduce il servizio sul “mostro” di Santhià che, reo confesso, sotto l'effetto di cocaina, ha ucciso i nonni e la zia (così ho capito e non m'informo ulteriormente). Fanno vedere le immagini facebook con il nipote che ha postato foto con commenti di affetto nei confronti dei morti ammazzati. Poi ritornano in studio e la Perego dà la parola alla Parietti che sullo sgabello scalpita per dire la sua - il volto bianco come Fantomas pronta per il museo Grévin, stona incredibilmente con il collo abbronzato e quei boccoli assurdi che scendono sulle spalle e sui seni - che è più o meno questa:
«Guarda io posso parlarne in prima persona del disturbo bipolare, in famiglia infatti...»
In famiglia infatti? 
In ultimo - il mio ultimo, ché poi esco a prendere aria - la parola viene data a un signore che non ho capito chi sia, sicuramente un esperto, il quale sostiene che:
«Sulla coca e sulla droga in generale non bisogna abbassare la guardia...».
Il mondo è brutto, una gran parte. Lo si capisce appieno faccia a certe circostanze. E tutto sembra terribilmente inutile, ogni sforzo teso a trovare barlumi di senso ti diventa vano. Vengono in mente tutti i luoghi in cui sofferenza e tribolazione sono la norma, la vita schiava, la fatica, il tremore e il timore. Gli studi televisivi sono questi luoghi di terribile finzione, vita denaturata che passa in camerino per farsi pettinare e contingenta i minuti del proprio vuoto (pagato dalla pubblicità).
Quello schermo acceso che impone una narrazione (continua) che non ci appartiene, ma che ci impone per raccontare una realtà deformata su misura.
Ho usato “narrazione”: che a poco a poco mi sembra assumere in sé i tratti di una negazione.

Mi rincresce tanto, ché io non ce la faccio a essere nichilista.


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