«Ahimè,» disse il topo «il mondo diventa ogni giorno più angusto. Prima era talmente vasto che ne avevo paura, corsi avanti e fui felice di veder finalmente dei muri lontano a destra e a sinistra, ma questi muri precipitano così in fretta l'un verso l'altro che io mi trovo già nell'ultima camera e là nell'angolo sta la trappola in cui andrò a cadere». «Non hai che da mutar direzione» disse il gatto, e se lo mangiò.Franz Kafka, Il messaggio dell'imperatore, versione di Anita Rho, Adelphi, Milano 1981
Sarebbe stato meglio non leggere Kafka, da giovane, perché avrei guardato con più fiducia e ambizione verso il futuro, un futuro che si prospettava roseo, muri che cadevano dappertutto e tutti quanti tutti, perfino chi li aveva edificati, a essere contenti della nuova era. Potevo approfittarne, essere lungimirante, darmi da fare per diventare gatto - ma quando uno nasce topo è probabile che lo resti a vita, la mutazione non è consentita ai cacadubbi, ai pavidi, agli infingardi, a chi non ha un'innata repulsione a tirar fuori la lingua per leccare gli stivali altrui.
Ma la Piccola favola non racconta solo quanto io sia una Piccola fava (mannaggia a me e alla tendenza di personalizzare tutto, di ricondurre tutto alla mia sorcitudine).
La Piccola favola va estesa al mondo, all'uomo in generale - e non sciupo l'intelligenza altrui con le mie limitate interpretazioni.
Però mi sembra abbastanza evidente quanto essa racconti, in breve, la storia dell'umanità.
Il problema interpretativo maggiore, a mio avviso, è dato dal gatto. Chi è in realtà il gatto?
Ora ci penso tutto il giorno e se addiverrò a una risposta stasera la scriverò.
1 commento:
Allora aspettiamo. Attento a non farti mangiare dal topo!
Posta un commento