Ferragosto 2009.
Berlusconi telefona a Fini e a Gianni Letta e li convoca d'urgenza a Palazzo Grazioli. Dopodiché chiama anche D'Alema e Casini, chiedendo loro di recarsi al più presto in tal loco, facendo cura della massima discrezione.
Berlusconi, senza tanti preamboli, va subito al punto coi suoi interlocutori, dichiarando che governare con la Lega è, di fatto, diventatato insostenibile: il prossim'anno ricorrono 150 anni dall'Unità d'Italia e, continua, non può più tollerare una forza secessionista, antiunitaria, antitaliana tout court alla guida della Repubblica. «È una contraddizione in termini che la Lega governi l'Italia e io non voglio più essere responsabile di questa situazione».
«Meglio tardi che mai» sentenzia Casini.
«E ora che si fa?» domanda D'Alema, «O meglio, che intenzioni avete?».
«Innanzitutto vorrei che qui tra i presenti» riprende Berlusconi «sia trovata una “certa” unità d'intenti su questo tema di escludere la Lega da qualsiasi accordo di governo attuale e futuro (non fare il furbo Massimo). Le modalità di attuazione saranno, invece, discusse e deliberate insieme. Per intanto, alla prossima richiesta di stampo leghistico io dirò di no e consentirò di far cadere il mio governo. Dopo si ritorna alle elezioni. Io mi gioco tutto. Io non voglio più continuare a essere sotto ricatto da questi antitaliani. Io non vorrei essere ricordato per aver sfaldato quello che resta del nostro sentimento nazionale. Se cadrò in Parlamento andremo subito alle elezioni. Prima però concorderemo insieme una più decente legge elettorale. In una settimana si trova un accordo se c'è la volontà politica. E poi, tutti alle urne e chi ce l'ha più lungo se lo tira. Che ne pensate?» conclude rivolgendosi direttamente a Casini e a D'Alema.
E loro, all'unisono: «Aspettiamo settembre».
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