Polemos
di tutte le cose è padre, di tutto poi è re; e gli uni manifesta
come dèi, gli altri invece come uomini; gli uni fa esistere come
schiavi, gli altri invece come liberi. Eraclito, 14 [A 19],
traduzione di Giorgio Colli, in La sapienza greca, vol. III,
“Eraclito”.
«…
ogni πόλεμος, anche quando asimmetrico e privo di regole, ha
per fine un diverso «aver la meglio sull’avversario», che non a
caso vien detto “nemico”. Voglio dire che nella continuazione del
πόλεμος con una τέχνη diversa da quella che gli è
propria va persa l’equipollenza geometrica tra i fini che i
contendenti si propongono. Si tratta indubbiamente di un enorme salto
qualitativo sul piano dell’evoluzione antropologica, ma in sostanza
il salto sta tutto nel differire il fine, e invece di annichilire il
nemico ci si accontenta di dimostrare che ha torto. Può anche
accadere che questo si riveli di grande utilità nel risparmiarsi
tutte le scocciature che derivano dall’uso della forza bruta, ma a
patto che le regole della retta argomentazione siano condivise al
punto da dare agli argomenti una forza univocamente ponderabile dalle
parti in polemica. Bello a dirsi, impossibile a farsi quando sia
patente, anche da parte di uno solo dei contendenti, l’uso di
strumenti che violino o aggirino le regole della retta
argomentazione: lì polemizzare è inutile, perché il contenzioso
slitta inevitabilmente da ciò che è oggetto di polemica alla
legittimità degli strumenti di polemica, e in pratica si è
costretti a constatare che le regole non sono condivisibili. Di
fatto, solo in ambito scientifico la polemica dissuade proficuamente
dalla tentazione di ricorrere al randello.» Luigi Castaldi.
«Ma
questa alternanza oggettiva non ha che scarso rapporto concreto con
l'azione tragica il cui ritmo è più precipitoso. Al livello di
questa azione tragica, l'oscillazione fondamentale è quella che si
osserva nella disputa tragica, o sticomitia, vale a dire nello
scambio ritmico di insulti e di accuse che costituisce l'equivalente
dei colpi alternati che si scambiano due avversari nella singolar
tenzone […] Che la violenza sia fisica o verbale, tra un colpo e
l'altro trascorre sempre un intervallo di tempo. Tutte le volte che
un avversario colpisce l'altro, spera di concludere vittoriosamente
il duello o la disputa, di dare il colpo di grazia, di proferire
l'ultima parola della violenza. Momentaneamente tramortita dallo
scontro, la vittima ha bisogno di una certa pausa per riprendere
le sue facoltà, per prepararsi a rispondere all'avversario. Fin
quando tale risposta si fa aspettare, colui che ha colpito può
immaginare di aver davvero dato il colpo decisivo. È la vittoria,
insomma, è la violenza irresistibile che oscilla da un combattente
all'altro, per tutta la durata del conflitto, senza arrivare a
fissarsi da nessuna parte. Solo l'espulsione collettiva, è noto,
arriverà a fissarla definitivamente al di fuori della comunità.»
René Girard, La violenza e il sacro, (Paris, 1972),
Adelphi, Milano 1980, pag. 199-200 (traduzione di Ottavio Fatica
e Eva Czerkl).
Artatamente,
trasporto la questione nella trita e putrescente vicenda politica che
assilla l'Italia da un ventennio e provo a dire: nel momento stesso
in cui s'accetta la disputa con un avversario, gli si dà credito, lo
si legittima, ci si mette al suo livello e si viene trascinati nel
gorgo della sua polemica, delle sue ragioni, della sua violenza.
Tutta la politica italiana è dentro questo gorgo da più di
vent'anni e non ne sa uscire perché se, da una parte, la parte dei
merda, si aggirano, di fatto, «le regole della retta
argomentazione», dall'altra, la parta degli ebeti, non ci si è mai decisi a prendere il randello (politico) per dare il colpo decisivo.
Singolar tenzone in cui vengono usate armi diverse dai
contendenti: gli uni, i merda, grazie all'assillante arma mediatica
(televisioni, giornali, ecc.) riescono a far diventare vulgata una
storia disegnata su misura sulla faccia inceronata del capo; gli
altri, gli ebeti, che accettano la sfida usando le armi della
ragionevolezza, della costituzionalità, dello stato di diritto.
La
politica italiana si è fatta imprigionare in un dilemma in cui
soltanto uno doveva essere e dovrebbe essere prigioniero. E non ne sa
uscire (la politica: lui, temo, saprà uscire). Il guaio è che non
ne sappiamo uscire neanche noi (scusate per il noi), nel senso che,
come Dante nel XXXesimo canto dell'Inferno, resta imbambolato a
osservare due dannati (Maestro Adamo e Sinone il greco) menarsi
fendenti fisici e verbali, così noi (molti di noi) stanno ad
ascoltare o leggono le argomentazioni dei merda e degli ebeti senza
però avere vicino una guida come Virgilio che a un certo punto
s'inalberi e ci dica: «Or pur mira, / che per poco con teco non mi
risso!», vale a dire: ora guarda quanto sto poco a incazzarmi
con te se non la smetti di guardare e ascoltare quei due falsari impenitenti –
e perdi tutto questo tempo con tutta la strada davanti che abbiamo da fare...
4 commenti:
In parte dissento, caro Luca, perchè penso che se "gli altri, gli ebeti" avessero davvero e in modo sostanziale usato le armi della costituzionalità e dello stato di diritto, IL merda col suo seguito di "qua qua qua" sarebbe da tempo ormai nient'altro che un brutto ricordo -e dunque dare loro semplicemente degli ebeti è fargli secondo me un immeritato complimento.
Non ci voleva tanto perchè lo vedesse anche un bambino... Stava allora a "E' la stampa, bellezza!" entrare in campo, con tutto il possibile e anche l'impossibile clangore e strepitar d'armi. Invece qua da lunga fiata non c'è più uno straccio nè di stampa, nè di bellezza.
Fatta eccezione per una stampa di nicchia cui sarebbe da erigere un monumento al giorno, letta però purtroppo solo da chi già ha voluto sapere e capire.
Dopo Scalfari Sua Santità risponde ad Odifreddi; in me questa cosa non fa altro che risvegliare la nostalgia per la grandezza di un Giulio II.
Interlocutori presuntuosi come solo un mediocre sa essere, innalzati al livello di una figura, si creda o meno, che dovrebbe essere il vertice della spiritualità del mondo occidentale. Temo che prima o poi risponda anche a Malvino.
Per concludere una citazione: più stupido del clericalismo c'è l'anticlericalismo (più o meno).
Forse Siu hai ragione tu. Invece di usare la costituzione come un randello l'hanno usata come una spazzola per lisciare il pelo posticcio del lupo.
@ Giovanni
Certo che appuntarsi al petto lo spillone di una risposta pontificia li inorgoglisce stupidamente i due (Scalfari e Odifreddi) invece che farli incazzare visto che i pontefici anziché disputare sul merito, deviano i colpi parlando d'altro.
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