venerdì 27 settembre 2013

Ad ascoltarli er'io del tutto fisso

Polemos di tutte le cose è padre, di tutto poi è re; e gli uni manifesta come dèi, gli altri invece come uomini; gli uni fa esistere come schiavi, gli altri invece come liberi. Eraclito, 14 [A 19], traduzione di Giorgio Colli, in La sapienza greca, vol. III, “Eraclito”.

«… ogni πόλεμος, anche quando asimmetrico e privo di regole, ha per fine un diverso «aver la meglio sull’avversario», che non a caso vien detto “nemico”. Voglio dire che nella continuazione del πόλεμος con una τέχνη diversa da quella che gli è propria va persa l’equipollenza geometrica tra i fini che i contendenti si propongono. Si tratta indubbiamente di un enorme salto qualitativo sul piano dell’evoluzione antropologica, ma in sostanza il salto sta tutto nel differire il fine, e invece di annichilire il nemico ci si accontenta di dimostrare che ha torto. Può anche accadere che questo si riveli di grande utilità nel risparmiarsi tutte le scocciature che derivano dall’uso della forza bruta, ma a patto che le regole della retta argomentazione siano condivise al punto da dare agli argomenti una forza univocamente ponderabile dalle parti in polemica. Bello a dirsi, impossibile a farsi quando sia patente, anche da parte di uno solo dei contendenti, l’uso di strumenti che violino o aggirino le regole della retta argomentazione: lì polemizzare è inutile, perché il contenzioso slitta inevitabilmente da ciò che è oggetto di polemica alla legittimità degli strumenti di polemica, e in pratica si è costretti a constatare che le regole non sono condivisibili. Di fatto, solo in ambito scientifico la polemica dissuade proficuamente dalla tentazione di ricorrere al randello.» Luigi Castaldi.

«Ma questa alternanza oggettiva non ha che scarso rapporto concreto con l'azione tragica il cui ritmo è più precipitoso. Al livello di questa azione tragica, l'oscillazione fondamentale è quella che si osserva nella disputa tragica, o sticomitia, vale a dire nello scambio ritmico di insulti e di accuse che costituisce l'equivalente dei colpi alternati che si scambiano due avversari nella singolar tenzone […] Che la violenza sia fisica o verbale, tra un colpo e l'altro trascorre sempre un intervallo di tempo. Tutte le volte che un avversario colpisce l'altro, spera di concludere vittoriosamente il duello o la disputa, di dare il colpo di grazia, di proferire l'ultima parola della violenza. Momentaneamente tramortita dallo scontro, la vittima ha bisogno di una certa pausa per riprendere le sue facoltà, per prepararsi a rispondere all'avversario. Fin quando tale risposta si fa aspettare, colui che ha colpito può immaginare di aver davvero dato il colpo decisivo. È la vittoria, insomma, è la violenza irresistibile che oscilla da un combattente all'altro, per tutta la durata del conflitto, senza arrivare a fissarsi da nessuna parte. Solo l'espulsione collettiva, è noto, arriverà a fissarla definitivamente al di fuori della comunità.» 
René Girard, La violenza e il sacro, (Paris, 1972), Adelphi, Milano 1980, pag. 199-200 (traduzione di Ottavio Fatica e Eva Czerkl).

Artatamente, trasporto la questione nella trita e putrescente vicenda politica che assilla l'Italia da un ventennio e provo a dire: nel momento stesso in cui s'accetta la disputa con un avversario, gli si dà credito, lo si legittima, ci si mette al suo livello e si viene trascinati nel gorgo della sua polemica, delle sue ragioni, della sua violenza. Tutta la politica italiana è dentro questo gorgo da più di vent'anni e non ne sa uscire perché se, da una parte, la parte dei merda, si aggirano, di fatto, «le regole della retta argomentazione», dall'altra, la parta degli ebeti, non ci si è mai decisi a prendere il randello (politico) per dare il colpo decisivo. Singolar tenzone in cui vengono usate armi diverse dai contendenti: gli uni, i merda, grazie all'assillante arma mediatica (televisioni, giornali, ecc.) riescono a far diventare vulgata una storia disegnata su misura sulla faccia inceronata del capo; gli altri, gli ebeti, che accettano la sfida usando le armi della ragionevolezza, della costituzionalità, dello stato di diritto.

La politica italiana si è fatta imprigionare in un dilemma in cui soltanto uno doveva essere e dovrebbe essere prigioniero. E non ne sa uscire (la politica: lui, temo, saprà uscire). Il guaio è che non ne sappiamo uscire neanche noi (scusate per il noi), nel senso che, come Dante nel XXXesimo canto dell'Inferno, resta imbambolato a osservare due dannati (Maestro Adamo e Sinone il greco) menarsi fendenti fisici e verbali, così noi (molti di noi) stanno ad ascoltare o leggono le argomentazioni dei merda e degli ebeti senza però avere vicino una guida come Virgilio che a un certo punto s'inalberi e ci dica: «Or pur mira, / che per poco con teco non mi risso!», vale a dire: ora guarda quanto sto poco a incazzarmi con te se non la smetti di guardare e ascoltare quei due falsari impenitenti – e perdi tutto questo tempo con tutta la strada davanti che abbiamo da fare...

4 commenti:

siu ha detto...

In parte dissento, caro Luca, perchè penso che se "gli altri, gli ebeti" avessero davvero e in modo sostanziale usato le armi della costituzionalità e dello stato di diritto, IL merda col suo seguito di "qua qua qua" sarebbe da tempo ormai nient'altro che un brutto ricordo -e dunque dare loro semplicemente degli ebeti è fargli secondo me un immeritato complimento.
Non ci voleva tanto perchè lo vedesse anche un bambino... Stava allora a "E' la stampa, bellezza!" entrare in campo, con tutto il possibile e anche l'impossibile clangore e strepitar d'armi. Invece qua da lunga fiata non c'è più uno straccio nè di stampa, nè di bellezza.
Fatta eccezione per una stampa di nicchia cui sarebbe da erigere un monumento al giorno, letta però purtroppo solo da chi già ha voluto sapere e capire.

giovanni ha detto...

Dopo Scalfari Sua Santità risponde ad Odifreddi; in me questa cosa non fa altro che risvegliare la nostalgia per la grandezza di un Giulio II.
Interlocutori presuntuosi come solo un mediocre sa essere, innalzati al livello di una figura, si creda o meno, che dovrebbe essere il vertice della spiritualità del mondo occidentale. Temo che prima o poi risponda anche a Malvino.
Per concludere una citazione: più stupido del clericalismo c'è l'anticlericalismo (più o meno).

Luca Massaro ha detto...

Forse Siu hai ragione tu. Invece di usare la costituzione come un randello l'hanno usata come una spazzola per lisciare il pelo posticcio del lupo.

Luca Massaro ha detto...

@ Giovanni
Certo che appuntarsi al petto lo spillone di una risposta pontificia li inorgoglisce stupidamente i due (Scalfari e Odifreddi) invece che farli incazzare visto che i pontefici anziché disputare sul merito, deviano i colpi parlando d'altro.