venerdì 27 settembre 2013

Il neorealismo dei ricordi

Stasera, su Rai Tre, ho visto Roma città aperta. Era tanto, ero piccolo, avrò avuto l'età di Marcello. La cucina dove mangiavo coi miei e mio fratello, le sedie di legno chiaro, mio babbo in canottiera a costine accaldato e le guance rosse per un bicchiere in più, mia madre in vestaglia, mia madre, l'ho sempre vista e sempre la vedrò tipo Anna Magnani, io sono innamorato di Anna Magnani fin da quando ero piccolo ma non perché ero innamorato di mia madre e volevo uccidere mio padre, però, ora che ci penso, quando avevo l'età di Marcello io andavo a volte a letto con i miei, nel mezzo, per addormentarmi, ma questo non c'entra niente con il film.
In cucina, dopo cena, guardavamo spesso lì la televisione, io seduto in collo a loro oppure no, che andavo e venivo, e smettevo sempre di vedere il film appena ammazzano Pina.
I miei mi dicevano vai a giocare, e stasera ho capito perché mi mandavano a giocare, perché dopo la scena madre il film racconta ancora di più la crudezza e la violenza dell'occupazione, non è benigno cogli spettatori piccoli che vogliono il lieto fine, perché è un film dove la speranza viene sconfitta, la speranza per coloro che lottano per la speranza, per dire io che spero che quando erano alla fine in tre in prigione, presi l'«ingegnere» e poi il prete, ho sperato che il disertore austriaco, trafficando con le tubazioni presenti nella prigione, facesse saltare in aria qualcosa e liberasse gli altri e invece no, si viene a sapere che s'impicca. Porca puttana. È finita, non scappano, non si liberano e infatti: il capo partigiano comunista viene torturato con la fiamma ossidrica e altro, ma non parla, e tutto fatto davanti al sacerdote che assiste alla sua via crucis. È il corpo di Cristo che viene crocifisso e il carnefice, assurda e beffarda sua ultima mossa per farlo parlare, tira fuori il politichese, facendo al comunista una proposta se questi gli rivela i nomi dei generali badogliani, considerato che lui è comunista e l'alleanza coi conservatori e i monarchici è una fregatura. E il partigiano gli sputa in faccia al comandante nazista, è suo l'aceto questa volta, e quindi subisce la punizione finale e spira tra le braccia di Don Pietro. 
Don Pietro che maledice gli assassini, di colpo, ma poi s'inginocchia e prega il suo Dio impotente. Infine viene pure lui giustiziato, in maniera formale, un'esecuzione in piena regola col plotone che volutamente manca il bersaglio e il merda del nazista in capo che infama i soldati italiani e gli spara lui alla schiena - il tutto con i piccoli parrocchiani spettatori che sono andati a render omaggio al prete buono.
Ecco: i piccoli Marcello che tornano mesti verso la città che li aspetta, più bella e più triste che mai.
Per un momento, solo per un momento, avrei voluto avere di nuovo la loro età e avere qui vicino mio padre per salirgli in collo e abbracciarlo un po'.

4 commenti:

Rachel ha detto...

Anche io quando vedevo i film con la Magnani pensavo a mia madre, me la ricordava senza somigliarle in alcun modo, se non per il fatto di essere entrambe romane veraci.


Olympe de Gouges ha detto...

vedi che freud non c'entra :) non volevi la mamma volevi abbracciare il babbo

non ho mai visto nemmeno io la fine del quel film, per via del prete. non resisto: aracnofobia

Massimo ha detto...

Mi sono commosso con 'sto post, mannaggia.

Luca Massaro ha detto...

Grazie.
e un saluto di benvenuto a Rachel