«Strane
immagini. Rappresentavano una folla di cose. Non cose vere, altre che
gli rassomigliavano. Oggetti di legno che rassomigliavano a sedie, a
zoccoli, altri oggetti che rassomigliavano a piante. E poi due facce:
era la coppia che aveva pranzato vicino a me, l'altra domenica, alla
birreria Vézelize. Grassi, caldi, sensuali, assurdi, con le orecchie
rosse. Vedevo le spalle e il petto della donna. Esistenza nuda. Quei
due là – d'un tratto, ciò mi ha fatto orrore –, quei due là
continuavano ad esistere da qualche parte di Bouville: da qualche
parte – in mezzo a quali odori? – quel petto morbido continuava a
carezzarsi contro stoffe fresche, a raccogliersi nei merletti e la
donna continuava a sentirsi il petto esistere nella sua blusa, a
pensare: “Le mie tettine, i miei bei frutti”, e a sorridere
misteriosamente, attenta all'espandersi dei suoi seni che la
solleticavano, e poi ho gridato e mi son ritrovato con gli occhi
sbarrati.»
Jean-Paul Sartre, La
nausea, (1938),
Einaudi, Torino 1947 (traduzione
di Bruno Fonzi).
Ho gridato anch'io stasera, forte; e ho anche bestemmiato, molto. Gli occhi mi si stanno sbarrando,
ora, mentre ripenso a quelle cornici digitali sullo sfondo che mandano in onda alcune foto patinate della vita familiare di quello là –
d'un tratto, ciò mi ha fatto orrore – e lui continuava a
esistere da qualche parte, in mezzo a quali odori, a quali immagini.
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