«“Non
dovevi vomitarmi qui,” mi dice, “che adesso qui è tutto
otturato.” E mi indica il lavandino. “Dove siamo?” dico io.
“Nella 23,” dice lei. “Allora,” dico io, “poco male, perché
ci pisciavo sempre.” E adesso anche io lo indico, il lavandino.
“Be',” fa lei, “piscia quanto vuoi, che quello mica ottura, ma
con tutto questo vomito, guarda, qui non va giù più niente.”
“Oh,” dico, “chi mi ha portato qui?” E lei: “Ti ho portato
io, va’, sono sempre forte come una volta, proprio.” “Cosa ti è
capitato?” le dico, allora, che mi viene da dirglielo quasi
sottovoce, così. “Ma niente,” dice lei. “Come niente?” le
dico. E lei dice: “Ma niente,” ancora. E poi lo diceva di nuovo,
ogni tanto, che io invece non parlavo più: “Ma niente.” Poi
dice: “Guarda qui.” E mi fa vedere la coperta del letto, adesso,
piena di schizzi da tutte le parti, e il cuscino bagnato, e il
tappetino che c'era lì per terra, bagnato anche quello, e persino la
parete, che è lì come piena di baffi lunghi. Poi guardo un po'
dalla finestra, che piove come prima, e si sente di nuovo tutto quel
rumore della pioggia che c'era, e oltre la pioggia non c'è mica
niente, e cioè davanti non si vedono mica delle case o altro, ma
solo come un po' di nebbia. “Non sembra nemmeno più lo stesso
posto,” dico. “Be’,” dice lei, “cosa pretendi?” E apre la
finestra, che entra un po' d'aria, un po' di nebbia, che subito,
infatti, mi sento un po' meglio. Poi mi aiuta anche un po' a pulirmi
la camicia, che ce l'ho tutta sporca di bava, e con uno straccio si
mette a lavare anche un po', lì per terra, e poi mi dice: “Ma
prenditi questa citrosodina, piuttosto, che ti fa bene.” E mi passa
un bicchiere, che l'acqua, dentro, quasi ci frigge, e di nuovo è
tanto pallida, lei, che la mano, adesso, le trema.»
Edoardo
Sanguineti, Capriccio italiano, Feltrinelli,
Milano 1963 (ristampa 1987, cap. XXXVI, pag. 71)
Appoggia
le tue mani sulle mie reni, trasmettimi un po' del tuo calore; entra,
per una volta, dentro questo mio corpo disperato che non digerisce
più bene i pasti che gli vengono imposti dalla quotidianità. Il
tempo è quello che è, l’estate un ricordo, nonostante ancora lo
sia sulla carta; m'è
preso freddo, sai, le mezze stagioni che non sai se fa freddo o fa
caldo, dipende da cosa decidi. Io ho deciso di avere freddo in questo
quarto d'ora che scrivo e ti penso, ovunque tu sia, come se davvero
fossi esistita. Eppure mi parlavi, mi donavi parole che ingenuamente
credevo che, prima o dopo, ti avrebbero rivelata, ti avrebbero
portato in quel posto preciso dove decidemmo insieme di bere il
nostro primo caffè. Io sono ancora qui che giro il cucchiaino dentro
la tazzina. E tu sei invece rimasta un abbraccio senza braccia, un
“ti amo” senza vocali.
- “Trademark?”
- “Vaffanculo™”.
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