Per quanto Papa Francesco stia operandosi per restituire alla Chiesa cattolica e al cristianesimo in sé un'impronta più trendy, più spendibile mediaticamente e, sia concesso, anche umanamente (la sua vicinanza ai poveri, agli emarginati, ne è prova), la teoria e la prassi cristiane restano sempre classiste e favorevoli al perpetuarsi dello status quo.
Un esempio è fornito da un editoriale di Giovanni Ruggero pubblicato ieri su Avvenire. Bene, in tale articolo cristianamente accorato, che parla dello «scandalo degli sperperi alimentari», Ruggero mostra come il cristiano non vada a cercare le vere cause che determinano una simile catastrofe - e questo perché, se lo facesse, scoprirebbe che esse non sono individuali, non riguardano tanto la coscienza personale, quanto precise ragioni storiche e sociali legate al modo di produzione capitalistico. Per il cristiano le ragioni del male nel mondo sono sempre soggettive: è il diavolo che tenta l'individuo, puttana Eva - e, così, egli critica, di più: giudica i comportamenti peccaminosi del singolo, considerato il principale responsabile dello spreco (in questo caso alimentare).
«Le cause di questa dissipazione sono oggetto di studio, perché è da qui che si possono immaginare i rimedi. Nel mondo industrializzato siamo noi consumatori i principali responsabili perché compriamo e poi buttiamo ciò che non mangiamo. Cultura dell’opulenza? Ostentazione del benessere?»
Digressione, ma non tanto.
Familiari acquistati d'intorno hanno pollai. Le galline, veramente allevate a terra, razzolano e mangiano lombrichetti, insettucoli e, dipoi, granaglie varie che vengono loro date. E anche pane secco in copiose quantità. Pane che, taluni, raccolgono, invenduto, da forni. Per dire: ogni settimana, raccogliendo il pane avanzato, mi rendo conto che, come minimo, se potessi rimetterlo insieme otterrei un pane intero da un kg. Fine digressione.
Dunque, anch'io sono responsabile della dissipazione e dello spreco alimentari?
Esimio signor Ruggero, mi spiace contraddirla: manco per il cazzo mi sento responsabile. Certo, non sono un tipo molto misericordioso, come Madre (Santa) Teresa di Calcutta, la quale - lei riporta - disse:
«Quello che mi scandalizza non sono i ricchi e i poveri: è lo spreco»
Beh, a me invece, tutto il contrario: non sono scandalizzato dallo spreco, anzi: lo trovo una mera conseguenza del sistema di produzione dominante (in altri termini: esso rientra nelle leggi insiste al sistema capitalista dove sovrapproduzione e maladistribuzione, di necessità, imperano); piuttosto, ciò che mi scandalizza è proprio l'esistenza dei ricchi e dei poveri. Vale a dire: pur tenendo conto dei talenti, delle attitudini, delle diversità insite al genere umano (intendo di quelle “chi ce l'ha più lungo se lo tira”), da un punto di vista dei diritti umani, il divario tra i ricchi pezzi di merda e i poveri morti di fame è lo scandalo per eccellenza che non dovrebbe far dormire le religioni e la politica.
E, invece, per i politici (comitati d'affari, ecc.) e per i religiosi come Madre Teresa, i poveri sono il miglior affare per il mantenimento del proprio potere (banalmente e ingenuamente: se non ci fossero più i poveri che bisogno ci sarebbe dei “politici” che, tramite campagna elettorale, promettono questo e quello; che bisogno ci sarebbe dei volontari misericordiosi se non ci fossero più disperati da consolare e feriti da sanare?)
Continua Ruggero:
«Nel Paesi in via di sviluppo, invece, gli sprechi sono dovuti a un’agricoltura poco efficiente o alla mancanza di modalità di conservazione adeguate. Lo spreco è dunque inserito in una catena alimentare non più virtuosa, e ogni anello della catena – è anche l’invito della Fao – dovrebbe adoperarsi per spezzare questo meccanismo impazzito. Riutilizzare e riciclare, sono le parole d’ordine per i consumatori. Ma tanto e di più può fare l’industria alimentare, invitata – finalmente – a chiare lettere a donare quello che non può più vendere, quanto sta per marcire e dovrà essere buttato via.»
Inutile girarci intorno: per rendere efficiente l'agricoltura e la filiera della conservazione annessa, occorre più scienza - ma una scienza svincolata dal capitale. Inoltre, è inutile “invitare” l'industria alimentare «a donare quello che non può più vendere», giacché l'invito cadrà, giocoforza, nel vuoto. In buona sostanza: occorre un ripensamento (rivoluzione?) dell'attuale sistema economico che, oramai da circa duecento anni, è sempre lì, più o meno lo stesso, costretto nella sua ferrea logica dello sfruttamento degli umani e delle risorse del pianeta. Ma questa sì che è una bestemmia per i cristiani, in particolar modo per i cattolici.
Per concludere: riciclare e riutilizzare il cibo - in questo caso il pane - sì, ma dopo un po' anche basta, giacché col pane duro ci posso fare la panzanella o la pappa al pomodoro una volta o due, poi, galline o natura - e non per questo mi sono sentito mai, né mi sentirò colpevole come quel coglione di Adamo.
2 commenti:
Non aggiungerei neanche una virgola, a quanto da te argomentato.
Ma tanto, chi non vuole capire (o non può, non deve, se no gli casca il palco), non capirà.
Concordo in toto. Per quanto riguarda il pane, si facesse ancora con la pasta madre, sarebbe ancora buonissimo anche dopo parecchi giorni.
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