domenica 12 giugno 2011

Teologi della Domenica

Il Sole 24 Ore oggi in edicola mostra quanto la Confindustria tenga al raggiungimento del quorum ai Referendum: 0,01% del Pil del Nulla. Infatti, il neo-direttore Roberto Napoletano relega la notizia dei Referendum tra le varie del panorama della giornata.
Per dire: ha più risalto un editoriale del cardinale-teologo Bruno Forte (articolo che, si legge dipoi, è uno stralcio di una conferenza) dal titolo: «Quel dubbio moderno sull'inutilità della vita onesta».

Leggiamone alcuni passaggi: 
Che il nostro Paese stia vivendo una profonda crisi morale è sotto gli occhi di tutti. 
Con gli occhi, guardo sotto, essendo uno dei sunnominati tutti, ma in verità non vedo crisi morale sotto i miei calzini: solo un po' di polvere, uno o due peli pubici (soglio toccarmi quando leggo gli editoriali della Domenica), un'unghia tagliata, un ragno e un moscerino (sarà bene passi l'aspirapolvere).
Quale apporto può dare a questi processi una fede pensata?
Non per offendere (assolutamente) i credenti: ma la fede, per averla, è necessario e sufficiente pensarla? Dire: io penso che Gesù Cristo sia risorto equivale a dire io credo che Gesù Cristo sia risorto? Insomma, le locuzioni credo che e penso che, riguardo alle cose della fede, hanno lo stesso valore?
Che cosa i cattolici e la teologia che li ispira possono offrire all'Italia per uscire dal tunnel? 
Del divertimento? Leggerò il libro di Valter Binaghi e Giulio Mozzi per saperlo.
Anche se la domanda sulla teologia può apparire riservata agli addetti ai lavori, ritengo che meriti di essere considerata da tutti per le conseguenze che ne derivano nella prassi. Mi limito a segnalare tre urgenze. La prima è quella di una teologia più fedele alla terra, capace di parlare alla vita degli uomini, mantenendo alta la tensione fra il "già" e il "non ancora" propria della fede in Cristo, venuto fra noi e atteso per l'ultimo giorno.
L'unica teologia più fedele alla terra è la biologia: nun ce sta niente 'a fa'.
Una seconda urgenza che mi sembra profilarsi è quella di una teologia più teologica, e cioè più fedele al cielo, che sappia volgere lo sguardo alle cose presenti nell'orizzonte dell'assoluto primato di Dio. 
Galileooooooooooo.
Infine, emerge il bisogno di una teologia che unisca queste due fedeltà - al mondo presente e al mondo che verrà -, ponendosi al servizio della ricerca di un nuovo consenso etico, e che sia pertanto eticamente responsabile al più alto livello.
Pochi discorsi: la fede distacca dalla terra. Chi si vota al soprannaturale, al trascendente, concilia male questo transito di vita terrena con la ricerca della felicità, del qui e ora, con lo strappare un sorriso perpetuo di significanza per ricordarlo quando saremo soli e tristi. Noi umani siamo produttori di ricordi e la felicità - ricordate Adorno - la si può solo ricordare, averne sentore. Per costruire una società (terrena) che abbia un minimo comune denominatore etico, occorre spogliarsi di ogni fede che entri in conflitto con un'etica condivisa. È il caso del contrasto permanente tra leggi temporali e ultratemporali, quando poi a stabilire queste ultime è sempre una casta di chierici unici interpreti autorizzati della verità della fede.
Teologi e pastori sono chiamati a una nuova collaborazione al servizio della Chiesa e della società [...] Essi dovranno mostrare in maniera convincente che vivere rettamente è non solo giusto, ma anche necessario e utile alla crescita della casa comune, alla bellezza e dignità della vita di tutti. Solo così il pensiero della fede potrà contribuire alla ricostruzione morale del Paese
Non c'è niente da fare: come volevasi dimostrare la Chiesa viene sempre prima della società. È una questione di ordine. Vivere rettamente, è dimostrato, può avvenire anche lontano dalla fede. Anzi: chi non crede sa che dopo non ci sarà alcun pentimento pronto ad assolverlo e salvarlo. 
Inoltre, nessun servo può servire a due padroni. Ma forse mi sbaglio, mi sono perso qualche passaggio di storia del cristianesimo, parlo per partito preso, boh. Ditemi voi, venite qua a correggermi se lo ritenete opportuno. So solo che più passa il tempo e più m'accorgo che il cattolicesimo, che il cristianesimo, che ogni tipo di religione al mondo non può e non potrà mai essere universale, inglobante, salvifica. Occorrerebbe una nuova Scrittura, un nuovo Verbo, questa volta digitalizzato e scritto insieme. Se alla fine di questa Scrittura, di questo Pensiero Manifesto compare per magia sui tutti i computeri del mondo la parola Dio, beh, allora vorrà dire che lo avremmo fatto esistere davvero.

3 commenti:

giuliomozzi ha detto...

"Per costruire una società (terrena) che abbia un minimo comune denominatore etico, occorre spogliarsi di ogni fede che entri in conflitto con un'etica condivisa". O "minimo comune denominatore etico" e "etica condivisa" sono due cose diverse e distinte, o la frase ha una forma del tipo: "Per avere A occorre eliminare non-A2". Il che darebbe un po' sull'ovvio.
Esiste (non domando se sia possibile: domando se, Luca, per quello che ne sai, esiste al monod) un'etica che non sia fondata, alla fin fine (o meglio: all'inizio dell'inizio), su una "scommessa", ossia su un passo non argomentabile se non con un "A me pare proprio così"? (In altre parole: su un'evidenza non argomentabile). Una norma etica di base, e presente in tantissime culture, è: "Non fare a un altro ciò che non vuoi sia fatto a te stesso" (questo è probabilmente un buon fondamento per una "etica condivisa", ma naturalmente poi tutto si gioca sulla definizione di "altro": perché io sono io, gli altri sono altri, ma tra gli altri c'è chi è più altro degli altri, ecc.). Dovessi argomentare in favore di questa norma, non saprei da che parte cominciare.

Luca Massaro ha detto...

Accolgo il tuo rilievo sul periodo che segnali (cosa vuol dire avere "maestri" per me, che ho la sola vocazione di discepolo).
Riguardo a ciò che chiedi, mi sento di dire, con somma incertezza, che noi umani dovremmo quanto prima renderci conto che ogni etica nasce dal basso, ovvero da noi stessi, e che dal Sinai della nostre illusioni discendono solo comandamenti che ci dividono in tribù. Per questo, anche se è pura utopia, ritengo che una scommessa "argomentabile" sia possibile, solo a patto di riconoscersi "fratelli".

giuliomozzi ha detto...

Solo a patto di riconoscersi "fratelli": dici. Ovvero - aggiungo io - figli di un'unica "madre" e di un unico "padre". Quanta trascendenza c'è già in questa tua proposta minima, Luca...

E peraltro, il riconoscersi "fratelli" è un passo non argomentabile. Può essere compiuto solo perché se ne è convinti. Perché ci si crede.