giovedì 8 dicembre 2011

Un pomeriggio in Patagonia

Oggi pomeriggio sono stato in Patagonia. Faceva quasi caldo. Avevo sonno. Mi sono seduto accanto a dei turisti americani, annusando erba per non essere invaso dall'odore dei disgustosi (all'occhio e al naso) tramezzini. Era incredibilmente scura l'ombra lontana del fianco della montagna. Mi sono messo a sognare da sveglio ma, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a dirigere i miei desideri nella giusta direzione. «Ci penso io», mi ha detto un barista poco dopo, quando sono entrato nell'unica taverna di quella parte di mondo. «Bevi», mi ha intimato posando sul tavolo una tazza enorme che sembrava un guscio di tartaruga, «bevi, questo caffè ti farà bene. Caldo, mi raccomando». Ma io sono un tipo tiepido, così ho lasciato che il barista fosse distratto da altri clienti per alzarmi e sgattaiolare via di nascosto, con la tazza ancora piena (tanto avevo già pagato). Ho camminato per un po' a casaccio, senza una meta precisa, quando mi sono imbattuto in due signore lente, con delle magnifiche gonne, e un volto irradiato da occhi che ridevano. Gonne così, in Italia, oramai le vedi indossate soltanto alle gitane costrette a elemosinare agli angoli della strada. E penso alle povere donne italiane, di contro costrette alla fasciatura di jeans striminziti, coi ricami floreali sulle tasche che imprigionano i glutei. Sarà per questo che i loro occhi ridono meno.
Mentre sto ragionando su questo, mi sveglio: fuori è buio, ma perché mi sono addormentato. Le feste cattoliche infrasettimanali sono una delle parti più apprezzabili del concordato, indubbiamente. E, a volte, permettono sogni immacolati.

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