sabato 18 febbraio 2012

L'intelligenza come qualità inferiore


«I suoi giovani invitati sono belli, escono dalle università di famiglia, dai loro club, intelligenti per censo (conoscono l'esatto valore della vita), ammorbiditi da un'esistenza di bagni, di aria aperta, di sport costosi, di vacanze inaccessibili. Non si può non ammirarli, come risultato genetico. Non hanno niente da dirmi, ma io non ho verso di loro nemmeno il disprezzo o l'odio di classe, che reputo inutile. In un senso strutturale sono il prodotto di una civiltà raffinata, affrancati dalla nostra morale. Nessuno di costoro vuol scrivere o dipingere: hanno chi lo fa per loro; ma se volessero, i loro libri avrebbero immediato successo mondano, i loro quadri anche. Ma non vogliono: considerano l'intelligenza una qualità inferiore, quando non è applicata freddamente al potere e alla vita». Ennio Flaiano, Il gioco e il massacro, Rizzoli, 1970, pag. 203
Adesso capisco perfettamente perché non siamo capaci, noi intelligenti, di fare o di provare a fare la rivoluzione. Perché ci sentiamo superiori, strutturalmente superiori, a certa gente. Non riusciamo a odiare, né a disprezzare tali ospiti, eternamente giovani, ricchi, belli, in piena salute e coloriti come la sugna. Non siamo cattivi abbastanza. A noi, i lumi, ci hanno reso teneri, ci fanno camminare sulla superficie delle cose con l'essenziale o quasi, noi che non abbiamo licenze universitarie di facoltà di prestigio; noi che consideriamo l'intelligenza una qualità superiore, non possiamo prendere le armi e dare di matto come Amleto, cercando vendetta e giustizia, sconquassando le regole tenui che i nostri padri ci hanno donato dopo aver fatto alla guerra. Siamo malati di costituzione, noi occidentali, liberali e pacifici dentro. Ci trovassimo davanti un banchiere bancarottiere, piuttosto che mettergli due dita negli occhi, gli offriremmo da bere. Perché siamo educati e moralmente irreprensibili. Di noi, quando moriremo, tutto si potrà dire ma non ch'è morta una testadicazzo, oppure un fottutissimo pezzo di merda che ha affamato il mondo per pensare al suo cazzo di tornaconto. No, di noi si ricorderà in particolare la nostra gentilezza, il nostro savoir faire, il nostro preferir prendere in giro se stessi che gli altri. Paste di uomini e di donne che sanno, sotto sotto, di essere dalla parte giusta e che temono più di essere colti in fallo che fallare.
Il problema, però, è che una volta esercitato il nostro senso critico, ci accorgiamo che la nostra superiorità è come una pistola caricata a salve che non spaventa gli invitati al banchetto del potere nemmeno quando esplode, poiché essi sanno benissimo che le nostre parole non possono ferirli.
Ed essi continuano a godere alla facciaccia nostra, povero popolo che per stare bene ha smesso di rodere, di rosicare, di minare le fondamenta stesse del potere che si fondano sul rispetto. Ma rispetto per chi?
Ecco, questo è quello che resta del mondo dopo che lor signori hanno favorito: prendete e mangiatene tutti, restano briciole.

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