sabato 11 febbraio 2012

La rivelazione del Prossimo


«Se infatti è vero che tutti gli uomini sono fratelli per la loro comune origine, ciò implica soltanto un allargamento all'intero globo del campo d'azione dei litigi familiari. La sola fraternità reale, la sola creativa e durevole, sarebbe quella capace di definire un nuovo fine comune. E solo a ciò mirano tutte le nostre piccole recriminazioni. Ed è ciò che le legittima ben al di là del loro significato, in modo affatto diverso da quello che noi immaginiamo. L'irritazione cronica che io provo al solo contatto con la “gente” che mi circonda, è un'inconsapevole protesta contro la vita disgregata nella quale ci troviamo. E non si tratta certo di soffocare questa protesta, ma al contrario di portarla fino in fondo. Bisogna prenderla talmente sul serio, nutrirla con tali aspettative, con un senso critico tanto inflessibile, da renderla realmente insostenibile, e per nulla al mondo placabile – neanche mediante le necessarie rivoluzioni – se non nell'alveo del fine ultimo che ci indica e invoca. Tutte le nostalgie dell'Europa, tutti i falsi acquietamenti ch'essa offre loro, per poi dolersene subito dopo, tutta la miseria dei milioni di isolati che formano le nostre folle e salutano i dittatori, tutto ciò non è altro che una preghiera inconsapevole: venga la Chiesa universale – la rivelazione del Prossimo.»

Denis de Rougemont, Diario di un intellettuale disoccupato, Fazi, Roma 1997, pag. 163 (Journal d'un intellectuelle en chômage, 1937, traduzione di Manuela Maddamma).

Dopo aver accontentato i mercati (il capitale), i governanti democraticamente eletti* d'Europa si ritireranno nei loro chalet o relais o dove gli parrà più comodo. Saranno comunque ricompensati per il lavoro svolto. I mercati potranno così comprare i buoni del tesoro di quei paesi che, attraverso rigorose politiche di bilancio, garantiranno loro di rivedere indietro i soldi investiti a scadenza dei termini. I mercati hanno paura del default (insolvenza).
Domanda assurda: i possessori di quei soldi gestiti dai mercati – quella ristretta cerchia di novelli re-mida – non avrebbero altro modo per spendere quei soldi che investirli come dicono i mercati?
Domanda più assurda: se un giorno, prima o poi, tutte le nazioni diventassero Grecia, dove diamine investirebbero i loro soldi i mercati? Ovverosia: dove finirebbe tutta quella gran messe di capitale?
Faccio un esempio: se il multimilionario XY decidesse di spendere concretamente tutti i suoi soldi non saprebbe da che parte cominciare, un po' come se si ordinasse a qualcuno di bere tutta l'acqua del mare. Un individuo, chiunque esso sia, è un essere finito che può soddisfare soltanto un numero finito di bisogni e desideri.

Secondo me la soluzione più razionale sarebbe che coloro che non partecipano al banchetto del capitale cominciassero ad azzannare i possessori dello stesso, un po' come i cani abbandonati là fuori nella tormenta hanno iniziato a mordere il primo che passa. Obiezione: ci sono troppi guardiani in tuta antisommossa che proteggono i protettori di coloro che sono a palle a mollo alle Maldive o alle Vergini.
Non so perché ma mi viene in mente Cecità di Saramago. Fuori è buio e devo camminare un due-trecento metri nella neve per andare a cena fuori.

*O che, comunque, hanno ottenuto una maggioranza parlamentare.

1 commento:

Kisciotte ha detto...

Forse è un'espressione che può suonare retorica e storicamente sorpassa. Se non che nel mio quotidiano ne subisco i danni puntualmente, quando puntualmente mi si rivela: concreta, in carne e ossa, ammorbante e viscida come sabbie mobili.
L'espressione è la seguente, e potrebbe forse indirizzare i cani a fiutare le ossa giuste da azzannare.

Il vero problema non sono i padroni, ma i servi dei padroni, colpevoli di connivenza omertosa.