martedì 24 aprile 2012

Lo spettacolo dell'indignazione

Questo spettacolo dell'indignazione non serve a nulla: serve a far continuare la messa in scena di coloro che la producono, l'indignazione, appunto. C'è mai stato un frangente storico nell'Italia repubblicana in cui non ci siano mai state occasioni di indignarsi e di dire: «Fa' tutto schifo, sono tutti uguali, tutti rubano alla stessa maniera»? Forse durante il fervore del primo dopoguerra e qualche eccezione qua e là sparsa nel corso della nostra storia. Ma poi, sempre e comunque situazioni di scandalo, ladrocinio, favoritismo, corruzione...
Indignarsi serve un po' ad allentare la tensione, a sfrenare un po' di nodi, a mettere dita negli occhi per non mettersele altrove.
Tutta la caterva di meritevole pubblicistica di denuncia, cosa ha prodotto in fin dei conti, suo malgrado, se non politica corrotta? Non sostengo, certamente, che essa debba rinunciare al suo lavoro di scoperchiare lo scoperchiabile. Voglio dire un'altra cosa, forse, questa.

Ci dovrebbe essere in tutti i politici un'onestà di fondo che (purtroppamente!) manca: ogni politico, in Italia soprattutto, è un piccolo/grande Cetto la Qualunque che non osa confessarsi che il suo fare politico è una pratica che fa innanzitutto per se stesso, prima che per gli altri.
Non è vero un cazzo che chi fa politica la faccia per vocazione altruistica, per mettersi al servizio dei cittadini: confessino, tutti, anche i migliori, che fanno politica per realizzare se stessi, e che immaginano, presuppongono presuntuosamente, che questa loro realizzazione, questa loro compiutezza possa, eventualmente, produrre qualcosa di buono anche per il pubblico.

Berlusconi ci è andato vicino, e se non si fosse nascosto dietro un capezzolo, e se avesse apertamente parlato come il personaggio di Antonio Albanese (in gran parte a lui ispirato), forse sarebbe l'unico ancora credibile sulla piazza.
Un piazza oscena, senza dubbio.


Nessun commento: