martedì 15 novembre 2011

Un giorno da leoni



C'è stato un giorno, un solo giorno, in cui ho pensato di essere l'artefice di me stesso, di avermi in pugno, leggasi: in pugno la mia vita, di comandarla, di guidarla secondo una prospettiva, dandole un indirizzo, una piega, una direzione. Ma il giorno, si sa, dura poco, figuriamoci quello. Fu, infatti, così veloce che non m'accorsi ch'era già mezzanotte, suonavano le campane della chiesa vicina, dovevo rientrare di corsa nella mia insicurezza, nelle mie paure, nella mia caratteristica indecisione. A poco valse scrivere in un diario tutti i proponimenti di quel giorno da leone: a rileggerli l'indomani davano già l'aria di non appartenermi, di essere di qualcun altro, d'un povero illuso che credeva di possedere la padronanza assoluta di se stesso. Faceva ridere come si atteggiava, come andava alla televisione a raccontare di aver il record assoluto di presenze, e di esser stato, nondimeno, il più grande presidente degli ultimi centocinquantanni. Bella forza presentarsi tutto rileccato davanti allo specchio senza altro intelocutore che se stesso. Che bellimbusto, eppure ero io quello, non ci sono dubbi, con quella faccia triste nascosta in un sorriso forzatamente ebete. Meno male sono sceso da quell'io costruito a tavolino che parlava di risolvere i problemi sul tappeto. Ora che sono di nuovo quel piccolo punto d'universo che ero sempre stato, mi accorgo che sul tappeto ci sono le mie unghie dei piedi appena tagliate, e purtroppo, non ci sono cazzi, tocca a me domani passare l'aspirapolvere, dato che non mi posso certo permettere personale di servizio.

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