A volte, penso - e questo pensiero mi pare di averlo già pensato - dovrei provare ad assumere una faccia da portavoce berlusconiano, poi penso a un Capezzone o a questo nuovo Toti e mi prende uno sconforto esistenziale enorme, ma di misura minore a quello che mi prende se penso che ci sono già delle truppe pronte a fare i portavoce renziani, gente che sta sottomettendo le sinapsi alla riproduzione dello scilinguagnolo arrotondato del neo-presidente del consiglio, il bella fica.
Farei meglio non pensare, mi sa. Piuttosto che pensare ai parametri del grado di insoddisfazione esistenziale, farei meglio fuggirne, buttare indietro le ubbie, perché farsi tirare giù dai piombi delle rotture di coglioni mi sembra avvilente, dunque calma, uno scrollone, un risciacquo, una sudatella a fin di bene, il tenimento del sé che è il primo indicatore del riappropriarsi, il primo avere. Nella fattispecie, io - per prima cosa - in sere meditabonde come questa, mi metto le mani sul culo, un gluteo per mano e via, porta fortuna.
«Se Socrate esce di casa oggi troverà il sapiente seduto sulla sua soglia. Se Giuda esce stasera i suoi passi lo porteranno verso Giuda. Ogni vita è una moltitudine di giorni, un giorno dopo l'altro. Noi camminiamo attraverso noi stessi, incontrando ladroni, spettri, giganti, vecchi, giovani, mogli, vedove, fratelli adulterini. Ma sempre incontrando noi stessi. Il drammaturgo che ha scritto l'in-folio di questo mondo e l'ha scritto male (ci dette prima la luce e il sole due giorni dopo), il signore delle cose quali esse sono che i più romani tra i cattolici chiamano dio boia*, è senza dubbio tutto intero in noi tutti, palafreniere e beccaio, e sarebbe anche ruffiano e becco se non fosse che nell'economia del cielo, predetta da Amleto, non ci sono più matrimoni, poiché l'uomo glorificato, angiolo androgino, è sposa di se stesso».
James Joyce, Ulisse, traduzione di Giulio De Angelis, Meridiani Mondadori, [*dio boia = in italiano nel testo]
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