Non doveva succedere,
anche se ero preparata, anche se lo sapevo, cioè: me lo immaginavo
da tempo, in fondo, ho sempre sperato che tu restassi, e invece sei
voluto partire, andartene, provare a rifarti una vita altrove, con
un'altra compagna che non ami, tra l'altro, almeno a quello che tu mi
hai detto e, nonostante tutto, ti ho creduto sincero. Hai ceduto alle
lusinghe di qualcuna che ti ama più di me, questo è sicuro. Ti
comprendo ma, allo stesso tempo, ti biasimo, perché tu sai benissimo
che, così facendo, coltiverai la tristezza e la disperazione in
qualcun altro. Ma inutile tornare sui soliti discorsi, è tardi, devo
andare a lavorare, mica posso prendere un giorno di ferie perché tu
te ne vai, cosa dico al capoufficio: «Sa, mio marito stamani si è
alzato con la valigia pronta, pronto per andare via dalla mia vita».
No, non lo butto via un giorno di ferie per questa stronzata, va'
pure, facciamo finta che tu parta per il lavoro, ti concedo questo
intero giorno per ripensarci e poi stop, cambio la serratura,
abbandono del tetto coniugale, non ci sono cazzi, la casa resta a me.
E
così Paola esce di casa per andare a lavorare in perfetto orario.
Mezzo chilometro di passi, la stazione, il treno che arriva, si
ferma, lei sale e si accomoda seduta vicino alla porta d'uscita del
vagone, in uno spazio in cui ci sono soltanto due posti a sedere, e
l'altro è vuoto, ci mette subito la borsa e il cappotto per fare in
modo, per quanto possibile, di restare sola.
Il
treno parte, Paola non pensa a niente, limitandosi a guardare con più
attenzione il paesaggio solito fuori dal finestrino.
Alla
stazione successiva, il treno si riempie di gente. Paola prova a
resistere, tenendo la sua roba sul sedile di fronte, ma per poco:
senza tanti scrupoli, una ragazza le chiede se il posto è libero e
lei non può far altro che rispondere di sì, meglio lei che quel bel
signore che seguiva, non avrebbe avuto voglia di rispondere ai
sorrisi che di solito gli uomini le fanno, sempre, essendo Paola una
bella donna dallo sguardo accogliente e non respingente, con la quale
viene spontaneo per un uomo conversare.
La
ragazza davanti a lei è bella, truccata eccentricamente e
abbondantemente, labbra color magenta, una profonda scollatura che
mette in evidenza un fresco e sostanzioso seno, i capelli tirati
indietro allo spasimo e fermati da una coda di cavallo tenuta al
centro della volta occipitale. In più, come se non bastasse, la
ragazza indossa una mini gonna con delle calze a rete, rotte nei
punti giusti, proprio in quelli dove fuoriesce il rosa fucsia dei
petali di un tatuaggio floreale.
Per
un attimo, Paola pensa se, in quarant'anni, si è mai vestita una
volta così, non tanto per qualche ballo in maschera ai tempi
dell'università, né per Carnevale – quello lo ha fatto anche lei,
mascherarsi, e fu anche divertente – bensì per andare al lavoro o
a fare la spesa.
No,
la risposta è no. Ma pazienza. Non è un rimpianto questo, non mi fa
né caldo né freddo se qualcuno si veste in modo provocante, forse è
una divisa specifica e sta andando al lavoro anche lei, chissà –
non certo a una festa in maschera, Carnevale è finito, è un
mercoledì mattina di fine inverno, il sole è pallido, e l'unico
spettacolo che si preannuncia non sarà qui, in questo tratto di
ferrovia, ma a Palazzo Chigi nel pomeriggio.
Il
treno riprende la sua corsa e Paola, nonostante non sia granché
invogliata, estrae dalla borsa il suo e-reader per provare a leggere
qualcosa. Ma invano, non tanto perché presa dai pensieri del marito
che sta per andarsene, quanto perché la ragazza di fronte inizia ad
autofotografarsi col suo smartphone, per ogni scatto assumendo una
posa diversa, facendo compiere alle labbra mille smorfie, tutte
apparentemente seducenti, e gli occhi poi: da gatta, da cerbiatta, da
iena, da vampira, da leonessa, da colomba, da pitonessa, da cagna –
tutta la fauna al completo, insomma.
Paola
guarda divertita, senza farlo trasparire, forse solo il suo sguardo
rivela la sua ironica commiserazione. Il bello è che non può fare
diversamente, dato che la ragazza continua il suo gioco come fosse su
un set e Paola stessa l'aiuto regista costretta a guardare le sue
prove.
Il
climax del selfie arriva quando la ragazza estrae dalla
sua borsa Braccialini una banana: la sbuccia giusto sino a metà ed
inizia il suo blow-job, prima passando la lingua sulla punta e
sull'asta del frutto, poi inserendo la metà nella sua bocca – il
magenta delle labbra si fonde sul bianco della banana mentre lei,
flan flan flan, si fotografa a ripetizione.
Paola
zitta, soltanto uno sguardo ancora più divertito e leggermente più
fisso su di lei. La ragazza, allora, forse per dimostrarsi più
emancipata e sicura di sé, si rivolge a lei in modo strafottente,
dicendole:
- Fa
invidia, eh?
E
Paola:
- No.
Fa tristezza.
La
ragazza morde la banana e ripone il telefono. Paola rituffa lo
sguardo là, fuori del finestrino, verso qualcosa in più del niente.
2 commenti:
Bello ed essenziale. Il selfie è un ulteriore oltraggio al già traballante senso della realtà di quest'epoca. Tanti poveretti che si illudono di essere protagonisti delle loro vite. Bello il contrasto tra le due ragazze: da una parte la lucidità del distacco, dall'altra la cecità di se stessi.
Grazie Massimo.
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