Stamani, Olympe de Gouges ha riassunto la trama del Dottor Stranamore e io, mentre leggevo, oltre a pensare, naturalmente pensare, a tutto l'ammasso di ordigni atomici che sono ancora in giro (qualcuno ancora in Italia?), m'è tornato in mente Clausewitz, Della guerra:
«Non
daremo della guerra una grave definizione scientifica: ci atterremo
alla sua forma elementare: il combattimento singolare, il duello.
La
guerra non è che un duello su vasta scala. La moltitudine di duelli
particolari di cui si compone, considerata nel suo insieme, può
rappresentarsi con l'azione di due lottatori. Ciascuno di essi
vuole, a mezzo della propria forza fisica, costringere l'avversario a
piegarsi alla propria volontà: suo scopo immediato è
di abbatterlo e, con ciò, rendergli impossibile ogni ulteriore
resistenza.
La
guerra è dunque un atto di forza che ha per iscopo di costringere
l'avversario a sottomettersi alla nostra volontà». […]
«Le
più violente passioni possono accendersi anche fra i popoli più
civili [… ] Confermiamo dunque: “La guerra è un atto di forza,
all'impiego del quale non esistono limiti:
i belligeranti si impongono legge mutualmente: ne risulta un'azione
reciproca che logicamente deve condurre all'estremo”. […]
«La
guerra di comunità […] nasce sempre da una situazione politica e
vien provocata solo da uno scopo politico: costituisce dunque un atto
politico. Se essa fosse una manifestazione completa, indisturbata,
assoluta di forza, quale dovremmo dedurla dalla pura astrazione,
allora, dall'istante in cui la politica le ha dato vita, si
sostituirebbe ad essa come alcunché di assolutamente indipendente,
la eliminerebbe, non seguendo più che le proprie intrinseche leggi,
come la esplosione di una mina non è più suscettibile di essere
guidata dopo che si è appiccato il fuoco alla miccia. È in tal modo
che finora si è concepita la cosa, quando una disarmonia fra
politica e condotta di guerra ha fatto pensare a distinzioni teoriche
del genere. Tuttavia, non è così; anzi, questa concezione è
radicalmente falsa. Nel mondo della realtà la guerra non è […]
una cosa così assoluta che la sua tensione si risolva in una sola
decisione […] ma non perciò lo scopo politico assume il carattere
di un legislatore dispotico: deve adattarsi alla natura del mezzo,
donde risulta che sovente esso si modifichi profondamente; ma è pur
sempre l'elemento da tenersi soprattutto in considerazione.
Così,
la politica si estrinseca attraverso tutto l'atto della guerra,
esercitando su questa un influsso continuo, per quanto è consentito
dalla natura, delle forze che nella guerra si manifestano». […]
«Quanto
più grandi e forti sono i motivi della guerra, quanto più essi
coinvolgono l'intera esistenza dei popoli, quanto più violenta è la
tensione che precede la guerra, tanto più la guerra si avvicina alla
sua forma astratta, tanto più si tratta di abbattere il nemico,
tanto più vengono a coincidere l'obiettivo militare e lo scopo
politico, tanto più puramente guerriera e meno politica sembra
essere la guerra. Ma quanto più deboli sono i motivi e le tensioni,
tanto meno la direzione naturale dell'elemento guerresco, cioè la
violenza, collima con la linea data dalla politica, tanto più la
guerra si allontana di necessità dalla sua direzione naturale, tanto
più divergente è lo scopo politico dall'obiettivo di una guerra
ideale, tanto più la guerra sembra diventare politica» […]
«La
guerra non solo rassomiglia al camaleonte perché cambia di natura in
ogni caso concreto, ma si presenta inoltre nel suo aspetto generale,
sotto il rapporto delle tendenze che regnano in essa, come uno strano
triedo composto:
- della violenza originale del suo elemento, l'odio e l'inimicizia, da considerarsi come un cieco istinto;
- del giuoco delle probabilità e del caso, che le imprimono il carattere di una libera attività dell'anima;
- della sua natura subordinata di strumento politico, ciò che la riconduce alla pura e semplice ragione.
La
prima di queste tre facce corrisponde più specialmente al popolo, la
seconda al condottiero ed al suo esercito, la terza al governo. Le
passioni che nella guerra saranno messe in giuoco debbono già
esistere nelle nazioni; l'ampiezza che acquista l'elemento del
coraggio e del talento nel campo della probabilità e del caso
dipende dalle qualità del condottiero dell'esercito; gli scopi
politici, per contro, riguardano esclusivamente il governo […]
La
soluzione del problema esige dunque che la teoria graviti
costantemente fra queste tre tendenze, come fra tre centri di
attrazione».
Tali brani l'ho ripresi da René Girard, Portando Clausewitz all'estremo (Adelphi, Milano 2008).
Da tal volume estraggo anche:
Domanda: L'idea che Clausewitz si fa dell'azione reciproca (Wechselwirkung), cioè del commercio tra gli uomini inteso sia come commercio mercantile sia come relazione bellica, implic[a] la percezione del duello come struttura nascosta di tutti i fenomeni sociali?
René Girard: Penso di sì. Solamente questa intuizione teorica è in grado di percepire l'indifferenziazione, che si può descrivere in modi diversi: simultaneità nell'azione, tendenza all'estremo nell'alternanza di vittorie e sconfitte, reciprocità nel cuore dello scambio. L'attenzione teorica di Clausewitz per la guerra gli permette di concepire il duello come un'astrazione concreta, un'idea realizzabile. Il duello è questa simultaneità, questo faccia a faccia: in potenza, quando l'azione militare è differita o “discontinua”; in atto, quando l'azione militare è “continua” e tende all'estremo. L'impiego del Wechselwirkung, e delle sue due accezioni di “azione reciproca” e di “commercio”, consente inoltre di comprendere perché Clausewitz stabilisca un'equivalenza tra la guerra e lo scambio monetario, e perché non faccia una vera distinzione tra le due attività. A questo riguardo, è già prefigurata in lui una formidabile profezia di Marx: il commercio non sarebbe una metafora della guerra, ma riguarderebbe la stessa realtà.»
Ecco, per concludere, scusandomi delle mie scarse, anzi assenti considerazioni: spero che il ministro Mogherini abbia Clausewitz sul comodino.
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