«Prima di tutto, figlio mio... L'immoralità della menzogna non consiste nella violazione della sacrosanta verità. Il diritto di richiamarsi a quest'ultima spetta meno che mai ad una società che sollecita i suoi membri coatti a parlare con franchezza per poterli poi più facilmente acciuffare. La falsità universale non ha il diritto di pretendere la verità particolare, che essa, del resto, perverte subito nel suo opposto. Eppure la menzogna ha qualcosa di ripugnante, e se la coscienza che ne abbiamo ci è stata inculcata a colpi di frusta, essa dice qualcosa anche sul conto dei carcerieri. L'errore è nell'eccessiva sincerità. Chi mente si vergogna, perché, in ogni menzogna, è costretto ad avvertire l'indegnità dell'assetto universale che, mentre lo costringe a mentire se vuol vivere, non cessa di ripetergli di “esser sempre leale e sincero”. Questa vergogna toglie ogni forza alle bugie degli individui più sottilmente organizzati. Essi mentono maldestramente, e solo così la menzogna diventa veramente un'immoralità verso l'altro. Essa mostra di considerarlo uno stupido, e serve all'espressione del disprezzo. Tra gli scaltriti pratici di oggi, la menzogna ha perso da tempo la sua onorevole funzione di ingannare intorno a qualcosa di reale. Nessuno crede più a nessuno, tutti sanno il fatto loro, Si mente solo per fare capire all'altro che di lui non ci importa nulla, che non ne abbiamo bisogno, che ci è indifferente che cosa pensi di noi. La bugia, un tempo strumento liberale di comunicazione, è diventata oggi una tecnica della sfrontatezza, con cui ciascuno spande intorno a sé il gelo di cui ha bisogno per vivere e prosperare».
T.W. Adorno, Minima moralia, Einaudi, Torino 1979
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