domenica 28 febbraio 2010

Un birbante sospetto.

Nella sua rubrica In che verso va il mondo (“I toscani smemorati” Domenica del Sole 24 Ore di oggi) Rondoni ricorda il poeta Mario Luzi con lodi sperticate.

«Come pochi poeti ci fa "risentire" la nostra appartenza misteriosa al vivente, a un accadere del mondo che ci supera e genera. Poeta di pensiero e di sorprese, di adesione con lingua umile e speciale alla minima gloria della vita. Poeta di domande. Di inquietudini e di lode e di mistero».

Ognuno, per carità, ha diritto ad avere (e manifestare) i suoi gusti poetici. Personalmente, Luzi non mi entusiasma. Posseggo solo un suo libro, Dal fondo delle campagne, Einaudi, 1965. Ma non voglio parlare di questo. Voglio parlare, invece (perdonate la pedanteria) di come anche in questo articolo Rondoni colpisca a freddo qualcuno senza dirci chi.

«Della sua opera [di Luzi] qualche critico che si sentiva "il futuro" della poesia italiana scrisse negli anni Sessanta che si trattava di "una pagina conclusa, da voltare". Dopo cinquantanni l'opera di Luzi continua a parlare, a incuriosire anche i più giovani. Altro che pagina da chiudere: fila di finestre da aprire, porte da spalancare, scale e saliscendi a picco avventurosi sul mondo».

Senza dubbio, belle parole, belle similitudini. Ma perché a noi piccoli inesperti di provincia non ci dice chi sarebbe quel critico-poeta che si sentiva il futuro della poesia? Sarebbe bello saperlo, anche per confrontare la di lui opera con quella di Luzi e vedere se chi dei due riesce meglio a spalancare le finestre sul mondo. Io immagino, ma è un'ipotesi, possa essere Edoardo Sanguineti. Ma ora non ho in casa la sua raccolta di poeti del Novecento per dirlo.

Tuttavia, il momento clou dell'articolo rondoniano arriva quando si riesce a capire le ragioni del titolo. Rondoni, infatti, a un certo punto rimprovera le istituzioni toscane (Regione, Comune di Firenze, Banche) che non hanno dato seguito alcuno alla nascita di una fondazione pubblica in onore del poeta fiorentino.

«A cinque anni dalla morte non mi pare che tutte quelle istituzioni toscane [...] che negli estremi suoi giorni promisero con banda e grancasse di onorare la sua presenza feconda abbiano ancora messo mano a nulla di preciso. Speriamo che anche all'ultimo dei grandi toscani non tocchi d'emigrare».

Come se fosse questo l'elemento fondamentale per far vivere la voce di un poeta. Come se Dante fosse ancora tra noi perché c'è la Società Italiana Dante Alighieri. Ma forse un motivo c'è in tale reclamo: di solito, quando vengono organizzati convegni pubblici extra-accademici, le istituzioni si rivolgono a dei cosiddetti esperti. Ora, è ovvio che tali esperti siano "pagati" e per organizzarli e per conferirvi. Mi viene un birbante sospetto.

A margine. Ernesto Ferrero, scrittore e direttore editoriale del Salone del Libro di Torino, oggi interviene nel dibattito inaugurato domenica scorsa da Rondoni, esordendo, con l'articolo “Scommettere sui neonati, così: «Condivido alla lettera quanto ha scritto D. Rondoni». Mi viene da piangere.

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