Stasera ho ripreso in mano il vero Spinoza (non che lo Spinoza post-moderno non sia all'altezza, per carità) e, appena aperto, subito alcune perle:
«Se gli uomini potessero procedere a ragion veduta in tutte le loro cose o se la fortuna fosse loro sempre propizia, non andrebbero soggetti ad alcuna superstizione. Ma, poiché essi vengono spesso a trovarsi di fronte a tali difficoltà che non sanno prendere alcuna decisione e poiché il loro smisurato desiderio degli incerti beni della fortuna li fa penosamente ondeggiare tra la speranza e il timore, il loro animo è quanto mai incline a credere a qualsiasi cosa; quando è preso dal dubbio, esso è facilmente sospinto or qua or là, e tanto più allorché esita in preda alla speranza o al timore, mentre nei momenti di fiducia è pieno di vanità e presunzione». (p. 1)
«Quanto è facile, perciò, che gli uomini si lascino indurre in ogni genere di superstizione, altrettanto è difficile che essi persistano in un unico e medesimo genere. Al contrario, poiché il volgo non si sottrae mai al suo stato di miseria, proprio per questo non sta mai a lungo in quiete, e nulla ama più di ciò che è nuovo e che non l'ha ancora deluso: incostanza, che fu già causa di innumerevoli agitazioni e di guerre atroci; infatti, come si rileva dalle cose or ora dette e come osserva molto bene anche lo stesso Curzio "nulla riesce più della superstizione a dominare le masse"; onde avviene che queste siano facilmente indotte, col pretesto della religione ora ad adorare come Dèi i loro re, ora a esecrarli e a detestarli come una peste comune del genere umano». (p. 3)
«Mi sono spesso meravigliato che uomini, i quali si vantano di professare la religione cristiana, e cioè l'amore, la gioia, la pace, la moderazione e la lealtà con tutti, contendessero tra di loro con tanto astiosa irruenza e si odiassero a vicenda con sì feroce e costante accanimento, da far capire da ciò, piuttosto che dall'esercizio di quelle virtù, la specie di fede da ciascuno professata; le cose sono ormai arrivate al punto, che quasi non si può più distinguere di chi si tratti, se di un Cristiano, cioè, o di un Turco o di un Ebreo o di un Pagano, se non dalla veste esteriore di ognuno e dal culto o dalla Chiesa che frequenta o dall'opinione che segue o dal maestro sulla cui parola suole giurare. Per il resto conducono tutti la stessa vita». (p. 4-5)
Benedetto Spinoza, Trattato teologico-politico, Einaudi, Torino 1972
«Se gli uomini potessero procedere a ragion veduta in tutte le loro cose o se la fortuna fosse loro sempre propizia, non andrebbero soggetti ad alcuna superstizione. Ma, poiché essi vengono spesso a trovarsi di fronte a tali difficoltà che non sanno prendere alcuna decisione e poiché il loro smisurato desiderio degli incerti beni della fortuna li fa penosamente ondeggiare tra la speranza e il timore, il loro animo è quanto mai incline a credere a qualsiasi cosa; quando è preso dal dubbio, esso è facilmente sospinto or qua or là, e tanto più allorché esita in preda alla speranza o al timore, mentre nei momenti di fiducia è pieno di vanità e presunzione». (p. 1)
«Quanto è facile, perciò, che gli uomini si lascino indurre in ogni genere di superstizione, altrettanto è difficile che essi persistano in un unico e medesimo genere. Al contrario, poiché il volgo non si sottrae mai al suo stato di miseria, proprio per questo non sta mai a lungo in quiete, e nulla ama più di ciò che è nuovo e che non l'ha ancora deluso: incostanza, che fu già causa di innumerevoli agitazioni e di guerre atroci; infatti, come si rileva dalle cose or ora dette e come osserva molto bene anche lo stesso Curzio "nulla riesce più della superstizione a dominare le masse"; onde avviene che queste siano facilmente indotte, col pretesto della religione ora ad adorare come Dèi i loro re, ora a esecrarli e a detestarli come una peste comune del genere umano». (p. 3)
«Mi sono spesso meravigliato che uomini, i quali si vantano di professare la religione cristiana, e cioè l'amore, la gioia, la pace, la moderazione e la lealtà con tutti, contendessero tra di loro con tanto astiosa irruenza e si odiassero a vicenda con sì feroce e costante accanimento, da far capire da ciò, piuttosto che dall'esercizio di quelle virtù, la specie di fede da ciascuno professata; le cose sono ormai arrivate al punto, che quasi non si può più distinguere di chi si tratti, se di un Cristiano, cioè, o di un Turco o di un Ebreo o di un Pagano, se non dalla veste esteriore di ognuno e dal culto o dalla Chiesa che frequenta o dall'opinione che segue o dal maestro sulla cui parola suole giurare. Per il resto conducono tutti la stessa vita». (p. 4-5)
Benedetto Spinoza, Trattato teologico-politico, Einaudi, Torino 1972
2 commenti:
Il finale del Trattato poi, con la rivendicazione della (concessione della) libertà di parola, non è meno attuale, e altrettanto godibile.
Già. Ed esso dovrebbe essere un caposaldo di ogni vera repubblica.
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