mercoledì 20 maggio 2009

La fenice nazionale



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Delle due personae del Novecento italiano, delle due grandi maschere che aprono per noi il secolo, per ragioni anagrafiche è stato d'Annunzio a imitare Virgilio (o Racine) e a farsi interpretare come poeta di regime. Ma si tratta di una parte rubata. Il rapporto col fascismo, sebbene di stretto vicinato, ma di natura manifestamente esteriore e opportunistica, fu esercitato da d'Annunzio senza nessuna convinzione e con la stessa marpioneria usata tanti anni prima nei confronti delle famiglie aristocratiche della Roma di fine secolo. Il caso di Pascoli è diverso. Il fascismo, in Pascoli, è un'esperienza intima, che si offre a un sapere quasi etnologico. Il fascismo pascoliano contiene e prefigura il fascismo ‘storico’, ma non lo esaurisce, continua a rappresentarlo, a metterlo in essere nella sua radice, nella sua aurora, nella sua infinità capacità di metamorfosi e rinascita. [...] Chiunque parli e scriva nella nostra lingua ha conosciuto lungo il secolo, il fascismo prima adulto, poi decrepito e miserabile. Di questa carcassa (di questa fenice nazionale) si vedono in Pascoli, limpidi, i lenti e iniziali movimenti da embrione, i filamenti della cellula. Si può dunque comprendere, se si pensa non al trionfalismo esteriore del Pascoli ‘eroico’ ma all'arco descritto dalla sua intimità più segreta, come il frequentatore dell'opera pascoliana sia preso dal sospetto di trovarsi di fronte a una specie di emblema nazionale. Ma si può anche capire, se si pensa a tutto quel liquido che ne sanguina dolce e oleoso, come una certa antipatia si sia formata verso le lacrime pascoliane, e, soprattutto dagli spiriti forti, sia oggi professata quasi con zelo. Questo libro vuole sottrarsi a questo atteggiamento di superiorità. Esso riconosce nell'esperienza pascoliana un oggetto sgradevole, forse repellente e perverso, ma più importante della sua repulsività».

Cesare Garboli, Trenta poesie famigliari di Giovanni Pascoli, Einaudi, Torino 1990

Noticina a margine: non so come né in che misura, ma mi pare che questo discorso su Pascoli possa essere esteso alla realtà politica dei nostri giorni, meglio, alla natura politica della maggioranza degli italiani e dall'escrescenza sgradevole rappresentata dal potere berlusconiano.

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