«Andare all'essenziale, e dire tutto in poche parole, rimarrà la prestazione migliore compiuta dal Dio dell'Occidente. Egli ha tagliato i ponti con tutto ciò che è superfluo. Questo è il suo marchio di fabbrica, che riuscirà persino ad accelerare la comparsa delle scienze fisico-matematiche, nel XVII secolo. Nel governo della natura, attraverso le leggi fisiche e matematiche, Dio può diventare amico degli scienziati e dei razionalisti, ai quali facilita il lavoro, che consiste nel far entrare una molteplicità di fenomeni nello spazio di alcune formule algebriche ultrasintetiche. Lavora in economia, e si tiene allo stretto necessario [...] La parsimonia esplicativa [...] non aveva nulla che potesse dare fastidio a un Essere così economo nella propria presenza (sino al punto che il suo stesso nome non deve essere pronunciato). Una economia dei mezzi che è l'apice dell'orgoglio. E di calcolo efficace. Meno si gesticola, meglio si comunica. Troppo pieno di sé per consentire di scendere a patti con la figurazione, Dio rinuncia al sensibile per possedere il sensibile. Il genio ebraico, vietandosi il prestigio mondano della visibilità, ha piegato l'indigenza a proprio vantaggio, praticando la diminuzione argomentativa (il simbolo dice più della cosa): fare il vuoto per affermare. Yahweh guadagna in energia quanto perde in termini di massa. Rinuncia a scrivere le proprie dediche su oggetti pesanti. [Usa] soprattutto dei papiri, fogli volanti cuciti che si possono nascondere sul fondo di una giara. Vantaggio di un corpo mobile e immutabile al tempo stesso; traslocare senza fare danni. Fecondo paradosso: un Dio amovibile ma stabilizzato, meticoloso e volante [...] Soltanto la scrittura ha permesso al popolo ebraico di disperdersi senza lasciarci la pelle [fino a un certo punto], la memoria, la fede».
Régis Debray, Dio, un itinerario. Per una storia dell'Eterno in Occidente, Raffaele Cortina Editore, Milano, 2002, pag. 131
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