venerdì 3 gennaio 2014

Good read

Sento l'urgenza di dire che bisogna leggere questo post di Luigi Castaldi.
Rimettere in fila così dei pensieri che non sarei mai riuscito a estrarre per farli diventare parole (quindi non c'erano, c'era solo il vago - e il vago era che la sera del 31 ho ascoltato il presidente Napolitano solo per un po', quando, appunto, leggeva nel gobbo la posta del Quirinale. Lì per lì mi sono irritato, poi sono arrivati ospiti, saluti, non c'era in alcuno la volontà di filarsi il presidente e il televisore è stato messo su muto).

E poi oggi, appunto, Malvino.
Le lettere di cui Napolitano s’è servito per il testo del suo messaggio di fine anno – non ha molta importanza, ripeto, se le abbia davvero ricevute o se le sia inventate – costruiscono un interlocutore che corrisponde esattamente all’italiano che è chiamato a guardare al nuovo anno «con serenità e con coraggio»: intendo dire che tale disposizione d’animo, per chi si trovi in condizioni analoghe a quelle descritte nelle lettere di cui Napolitano ci ha esposto il contenuto, è possibile solo ad avere una particolare postura etico-estetica dinanzi a gravi difficoltà. E per non farla troppo lunga direi non sia difficile individuarla in un modello di cittadino che non esiste più, se mai è esistito anche fuori dalle pagine dell’Almanacco del Pci. Parlo dell’operaio, dell’impiegato, dello studente, che il Pci aveva irreggimentato in un esercito composto e dignitoso, mai stanco di sacrifici: l’eroica classe dei lavoratori, tanto più degna di andare al governo, quanto più in grado di assumersi la responsabilità in nome di tutto il paese, rinunciando a velleitarismi, a massimalismi e soprattutto a lacerazioni dell’unità nazionale. È da almeno vent’anni che non esiste più, questo popolo, ma vive ancora nel Wille e nella Vorstellung di un vecchio comunista e gli dice che «di sacrifici ne ho fatti molti, e sono disposto a farne ancora», che ha fatto «giuramento di pagare le tasse sempre e comunque» anche se non è lavoratore dipendente ed è di fronte al dilemma «se pagare alcune tasse o comprare il minimo per la sopravvivenza dei miei due figli», che nonostante tutto si dice «fiero del mio paese». Qui non si osa mettere in discussione che questo popolo possa anche esistere, ci si chiede solo quanto sia rappresentativo di un’Italia che per un terzo si astiene, vota scheda bianca o nulla e per un altro terzo vota Berlusconi o Grillo. Si tratterà, per caso, della base del cosiddetto  «partito del Presidente»? 
Più passa il tempo e più l'Italia vanifica il suo sforzo d'essere. Quanto durerà ancora questa finzione che si abita? La messinscena delle nazioni, intendo, della quale l'Italia rappresenta il miglior esempio, grazie ai suoi interpreti, degni eredi della Commedia dell'Arte.

2 commenti:

giovanni ha detto...

L'Italia è la peggiore delle rappresentazioni di nazione perché a fare il regista (senza aver avuto l'incarico) è qualcuno che sputava sulla bandiera come oggi i leghisti.
viva Mao, viva Stalin...

Luca Massaro ha detto...

oh, yes
(da considerare, inoltre, che i registi degli ultimi vent'anni fanno rimpiangere in blocco la stagione dei governi balneari).