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«Tutto, nel
ventisettenne, si confaceva al suo attuale modo d'essere; obbediva
alla sua vocazione coltivando la filantropia, unica espressione atta
a definire il filantropo. Théodose amava il popolo perché il suo
amore prescindeva dall'umanità. Come gli orticultori si dedicano
alle rose, alle dalie, ai garofani, ai pelargonii e non prestano
alcuna attenzione alle specie che non hanno scelto per il proprio
capriccio, questo giovane La Rochefoucauld-Liancourt apparteneva agli
operai, ai proletari, alle miserie dei faubourgs Saint-Jacques e
Saint-Marceau. L'uomo di polso, il genio agli estremi, i poveri
vergognosi del ceto borghese li espelleva dal grembo della carità.
In tutti i maniaci il cuore somiglia a quelle scatole a scomparti in
cui si ripongono i confetti divisi per qualità; il suum cuique
tribuere è la loro massima e
somministrano a ogni dovere la sua dose. Vi sono filantropi che si
commuovono solo sugli errori dei condannati. Alla base della
filantropia sta certo la vanità; ma nel giovane provenzale era
calcolo, partito preso, ipocrisia liberale e democratica recitata con
una perfezione a cui nessun attore saprebbe giungere. Non attaccava i
ricchi, si limitava a non capirli, li sopportava; ciascuno, a suo
dire, doveva trarre profitto dalle proprie opere; era stato, diceva,
fervente discepolo di Saint-Simon ma tale colpa andava attribuita
all'eccessiva giovinezza: la società moderna non poteva basarsi
altro che sul principio ereditario. Fervente cattolico […] andava a
messa prestissimo e teneva celata la propria devozione. Simile alla
maggior parte dei filantropi era d'una avarizia sordida e ai poveri
dava solo il suo tempo, i suoi consigli, la sua eloquenza e il denaro
che strappava per loro ai ricchi.»
Honoré
de Balzac, I piccoli borghesi, cap.
VII, “Un ritratto storico”, Einaudi, Torino (traduzione di
Luciano Tamburini).
P.S.
La suggestione filantropica scaturisce da qui.
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