mercoledì 8 aprile 2009

Realismo degli italiani

«A dirla in francese la cosa sta così: "Puisque les vérités premières restent toujours les mêmes, il est évident qu'il n'y a en réalité jamais rien à dire, mais tout juste à échanger des nouvelles sur la pluie et le beau temps, ou bien alors, si les choses se gâtent, à se servir des mots comme de matraques ou de couteaux: armes pour la lutte".
A dirla in italiano, la "realtà" per gli italiani è sempre l'ovvio accettato come tale, nella sua sordità cecità e morto peso. Ma l'ovvio poi, appunto per questo suo carattere sinistro (che solo scrittori come Moravia hanno il coraggio, fino a un certo punto, di affrontare), l'ovvio, dunque, imbarazza e spaventa. Bisogna togliere ogni sostanza offensiva e questo si ottiene abolendo della "realtà" il male: ciò che turba, disturba, ferisce, avvelena, tormenta. Il male - il peccato - lo si consegna al confessore se ne ottiene l'assoluzione e così è liquidato, oppure lo si nasconde, puramente e semplicemente, fra le pareti domestiche nel segreto della vita privata e così lo si annulla, mantenendolo in condizione da non poter nuocere.
Ma quel che rimane dopo tali astute operazioni è un pupazzo di cartone - se stesso - con una macchinetta dentro per la ripetizione indefinita dell'ovvio e la riaffermazione continua dello stato di fatto.»

Nicola Chiaromonte, Che cosa rimane - Taccuini 1955-1971, Il Mulino, Bologna 1995.

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