domenica 10 gennaio 2010

Se questa è poesia...

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Io nutro una profonda stima per ciò che scrive e pensa abitualmente Adriano Sofri.
Anche questa poesia immediata riflette bene la profondità del suo sentire.
Però, e lo dico con rammarico - a bassa voce -, a me questi versi non piacciono. Avrei preferito ch'egli avesse scritto un editoriale con tali contenuti. Certo, questi versi si rifanno a quelli celebri di Primo Levi e sono scritti volutamente a indicare il parallelismo tra la situazione ebraica nei campi di sterminio ai tempi del nazismo e l'attuale situazione degli immigrati africani a Rosarno in Calabria.
Ma la poesia, a mio avviso, non è il luogo ove immedesimarsi nell'Altro. Con la poesia o si diviene Altro o è parola muta, flatus vocis, banale retorica in giro di sol.
Questo modo di fare poesia rende vero, forse, ciò che diceva T.W. Adorno: dopo Auschwitz non è più possibile scrivere versi¹, intendendo che non si può scrivere poesia sulla pelle scuoiata nei campi di concentramento: farlo significa fare folclore.
La poesia dice e non dice, svela e non svela; come l'oracolo di Delfi, la poesia non rivela né nasconde, ma accenna. La poesia butta esche di parole nel mare degli alfabeti, sapendo bene che, pochi o molti di quanti saranno catturati, lo saranno singolarmente, individualmente. La poesia è il luogo dell'io, del Dante-Ulisse che mormora in punta di fuoco non sapendo chi esattamente ascolterà il dramma (o la farsa) della propria storia personale. La poesia è il proprio cuore messo a nudo: e se in quel quel momento il cuore piange la tragedia di un altro che non è se stesso, e il proprio animo sente l'urgenza di manifestarsi e scrivere, allora è meglio farlo in altra forma: una lettera o un'invettiva sono sufficienti, soprattutto a chi, come Adriano Sofri, ha la capacità di farlo nel migliore dei modi.

¹«La critica della cultura si trova dinanzi all'ultimo stadio della dialettica di cultura e barbarie. Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie e ciò avvelena la stessa consapevolezza del perché è divenuto impossibile scrivere oggi poesie». T.W. Adorno

2 commenti:

Enrico Maria Porro ha detto...

vieni a discuterne su pazzoperrepubblica.blogspot.com

paopasc ha detto...

Gli ultimatum non mi piacciono.
Non ho letto gli interventi su Rosarno, ma vi è qualcuno che attribuisce tutte le colpe a una sola parte?
In fondo, anche i rivoltosi sono colpevoli. Colpevoli di aver sbagliato il bersaglio, se le auto bruciate e ribaltate erano solo quelle di alcune donne, se hanno distrutto vetrine e cassonetti.
Molto meglio una protesta non violenta, silenziosa e duratura: sedersi tutti nella piazza principale, incatenarsi uno con l'altro, esigere, pacificamente, una giusta attenzione.
La vita naturale è ingiusta. Lo sappiamo. Ma lo è dal punto di vista astratto: chi ci dice che una società come quella umana non prospererebbe ottimamente se facesse come quella dei macachi, che, tra parentesi, prospera eccome? per quale motivo dovremmo essere "umani", con tutto quello che questa parola significa, nei confronti degli altri. Io, abitualmente, nella mia città, negli altri e forse anche in me stesso, e in Italia, non vedo cose diverse: l'equilibrio al quale si ritorna è quello di tanti anni fa, sembra come se da lì non ci si possa più smuovere. Una società più umanitaria di questa non sembra possibile.
Allora, perchè scaldarsi? I rivoltosi avranno imparato qualcosa? o alla prossima occasione, magari nelle loro terre natìe, faranno agli altri ciò che qui da noi hanno fatto loro?