«Nella vita, che cos'era che volevo veramente? Il mio conscio e apparentemente indivisibile Sé stava diventando qualcosa di molto diverso da ciò che avevo immaginato e io non ho bisogno di provare così tanta vergogna per la mia autocommiserazione! Sono stato un ambasciatore mandato all'estero da una fragile coalizione, un portatore di ordini conflittuali, dati da padroni impacciati di un impero diviso […]. Nello stesso momento in cui scrivo queste parole, anche per il solo fatto di essere in grado di scriverle, mi aggrappo a un'unità che, nella profondità del mio animo, so ora che non esiste».
William Hamilton, Narrow Roads of Gene Land, Oxford, 1996
«Una persona deve essere in grado di rimanere in contatto con le intenzioni passate e con quelle future, e uno dei più importanti compiti dell'autoillusione dell'utente del cervello, illusione che chiamo il Sé come centro di gravità narrativa, è quello di fornirmi dei modi per interfacciarmi con il me stesso di un altro momento temporale».
Daniel C. Dennett, L'evoluzione della libertà, Cortina, Milano 2004, (traduzione Massimiliano Pagani, pag. 338).
Il vero Lucas non esiste, o esiste moltiplicato per tutti i suoi se stesso sparsi per il tempo, diffusi nello spazio (non sono molti, il suo nome non è Legione). «Spazio, tempo: misure della stessa eternità» (Nabokov). Lucas vive giorni in cui cerca, per quanto possibile, «di rimanere in contatto con le intenzioni passate e con quelle future». Compito difficile, soprattutto per uno come lui, che non è mai stato un malintenzionato (o, perlomeno, non ha mai cercato di esserlo). Già: sono le modalità delle intenzioni a dare l'illusione di avere un'effettiva presa sul reale. Per esempio: se Lucas fosse un apologo
«risibile del fare e dell’agire, del realizzare e del costruire, del ‘[essere] operativo’ assurto a demenziale dogma dell’uomo/donna perennemente in carriera e competizione, dello slogan mietivoti e distruggipaesaggio»
tutto sarebbe più facile, il filo delle sue intenzioni seguirebbe una linea retta. E invece Lucas le intreccia le intenzioni, le confonde, le infrena, ma non ne perde certo le estremità: chi è intenzionato solo a diffondere una certa modalità di bene senza imporre al centro della trama il suo Sé illusorio, ma anche e soprattutto le intenzioni degli altri, potrà, con diritto, avere l'impressione di costruire la sua vita come narrazione. Per la narrazione, infatti, la linea più breve che congiunge due o più Sé persi nel tempo o nello spazio, non è la linea retta, ma il gomitolo.
6 commenti:
Luca...è il modo in cui scrivi che mi commuove.
Se tu usassi parole diverse, direi senz'ombra di dubbio che non sono d'accordo, che i Sé separati non si avvicinano, se non con un percorso, se non lineare, almeno non involuto come un gomitolo. Sarebbe incomprensione assicurata. Tu stesso sei lineare nell'esporti, diretto, comprensibile, ma soprattutto autentico.
E' il tuo lato migliore.
Almeno per me.
Mica male: il gomitolo è tipicamente di lana, roba buona, ed è una sfera - vuoi mettere con una linea retta?
Bellissimo post Luca. Bellissimo.
@ WW
Quando mi scrivi queste cose mi struggo come burro su pane appena tostato.
:-)
@
Grazie Rom, grazie Fabristol.
Sentitamente, ringrazio di cuore
:-)
Mi unisco al coro, anche se non ci sarebbe bisogno da parte mia di farlo. Tu scrivi bei post di default.
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