giovedì 21 ottobre 2010

Quando siamo padroni di avere non aculei, ma mani aperte

«In tutto questo – scelta degli alimenti, del luogo e del clima, degli svaghi – domina un istinto di autoconservazione, che si esprime nel modo più inequivocabile come istinto di autodifesa. Non vedere, non sentire tante cose, non farsene avvicinare – prima accortezza, prima prova che non siamo un caso, ma una necessità. Gusto è la parola ricorrente per designare questo istinto di autodifesa. Il suo imperativo non ci comanda solamente di dire no, quando il sì sarebbe un segno di “altruismo”, ma anche di dire no il meno possibile. Dividersi, separarsi da ciò che ci costringerebbe continuamente al no. Ragione è questo, che le spese fatte per difendersi, per quanto piccole, una volta diventate regola, abitudine, determinano un depauperamento straordinario e del tutto superfluo. Le nostre grosse spese sono la somma di tutte le piccole spese abituali. Il difendersi, il non-farsi-avvicinare è una spesa – non ci si deve ingannare su questo punto – è uno sperpero di forza a fini negativi. Proprio per il costante bisogno di difendersi, si può diventare tanto deboli da non potersi difendere. – Mettiamo che uscissi di casa e trovassi, invece della quieta e aristocratica Torino, una qualunque piccola città tedesca: il mio istinto dovrebbe bloccarsi per ricacciare tutto ciò che di quel mondo ottuso e meschino vuole penetrarlo. O se trovassi una grande città tedesca, questo vizio trasformato in edifici, dove non cresce niente, dove ogni cosa, buona o cattiva, è importata. Come potrei non diventare un istrice? – Ma avere aculei è una dissipazione, un doppio lusso, quando siamo padroni di avere non aculei, ma mani aperte...
Un'altra accortezza nell'autodifesa è quella di reagire il più raramente possibile, di sottrarsi a situazioni e condizioni in cui si sarebbe in certo modo condannati a mettere in mostra la nostra “libertà”, la nostra iniziativa, diventando così un semplice reagente. Come paragone prenderò il rapporto con i libri. Il dotto, che in fondo non fa che “compulsare” libri – circa duecento al giorno per il filologo medio – finisce col perdere completamente la capacità di pensare per conto suo. Se non compulsa non pensa. Quando pensa risponde a uno stimolo (– un pensiero letto) – e alla fine reagisce e basta. Il dotto dedica tutta la sua forza dire sì o no, a criticare ciò che è stato già pensato – ma egli stesso non pensa più... Il suo istinto di autodifesa è infrollito; altrimenti si difenderebbe dai libri. Il dotto – un décadent. – L'ho visto con i miei occhi: nature dotate, ricche e libere, già a trent'anni tutti “morti dal leggere”, ridotti come fiammiferi, che si sfregano perché facciano scintille – dei “pensieri”. – La mattina presto, all'inizio del giorno, freschi, all'aurora della propria forza, leggere un libro – bene, per me questo è vizioso! – ».

Friedrich Nietzsche, Ecce homo, (a cura di Roberto Calasso), Adelphi, Milano 1969


Lucas si distende come foglia secca di vite lungo un filare nell'attesa che uno sperso acino dello stesso cada, dolce come zibibbo, sulla sua punta della lingua sì da suggere terra e vento e assumere l'ultima luce di un ottobre ancora propensa a spargere tocchi lievi di tepidità.
La foglia, la terra, il cielo, il corpo steso nella polvere che percepisce, scomodo, le orme di una ruota di trattore: i pensieri sono già in cantina, pronti a essere passati in barrique. Stagionarsi, maturare senza fretta, sapere che di tutto quello che traversa la mente un giorno potrà essere bevuto, è consolazione, è ricchezza strappata alla miseria del tempo che scorre. Compulsare la vita, già, quando saremo padroni di avere non aculei, ma mani aperte...

1 commento:

Anonimo ha detto...

mi ha definitivamente travolto l'immagine di Lucas che sugge il superstite chicco d'uva rinsecchito, ma straordinariamente dolce al palato, nel sole d'agosto

oggi me ne stavo sotto i filare di vite (pinot rosso) a rispondere ai vari messaggi d'auguri sul cellulare (oggi è il mio compleanno, ma non farmi auguri, non mi piace questo rituale...)

sì, vivo in collina, tra filari d'uva e olivi

non bastava Nietzsche, con le sue mani aperte, a sconvolgermi, ci voleva questa sensazione di calma e riflessionecomune a farmi capitolare: quanto mi piace leggerti!

niente aculei: la vita ci viene incontro, razionalizziamo le energie e non offriamo inutili resistenze...già
vero, condivisibile
ma le mani tendono a chiudersi a pugno, se le cose sono dure da affrontare: è legittima autodifesa...
in condizioni di guerra non si aprono, non si devono aprire, a rischio di soccombere, e con noi le cose in cui crediamo...
e noi, ora, siamo in guerra contro un genere umano che, globalmente, ha perso il senso del precario equilibrio che lo fa sopravvivere su un pianeta che non lo può più reggere a lungo
noi siamo il genere umano: noi abbiamo il dovere di conservarci, per necessità istintiva di conservazione

invece ci facciamo del male da soli: io mi sento la mamma orsa che difende i suoi cuccioli

affilo gli unghioni, non resto in panciolle
sì, però...sono tendenzialmente oziosa e godereccia, da vera orsa e non me lo permettono (rabbia!)