Volevo fare un post dopo aver visto Il divo di Paolo Sorrentino.
Ma poi mi son detto: basta, ho sete, ho voglia di una birra. «Tra la sete e la birra, nomi l'una e l'altra, si estende delizioso l'accadere del bere»¹. Esco, tira un po' di vento e le foglie copiose del nocciolo frusciano leggere. Silenzio. Penso a trent'anni di storia italiana, ai nomi, alle cose, alle persone, agli avvenimenti storici e leggiadri: «davvero è successo tutto questo?» mi chiedo insieme a Deaglio. Se si è consapevoli di questo, come ci si sente? Indifferenti? Complici? Incazzati? Apocalittici o integrati? Che cosa fa sì che alcuni di noi sentano come un peso dentro, come un groppo che non va né su ne giù, una voglia impellente di vomitare senza la possibilità di farlo? E che cosa fa sì, invece, che tal altri facciano finta di niente, niente di nuovo il sole, e si dicano che in fondo questa è l'Italia, la si prende così, la si gode, la si vive al massimo cercando il massimo profitto? Se, per esempio, io fossi dell'entourage berlusconiano o andreottiano o qualsivoglia altro entourage diabolicamente salvifico e vincente la penserei come in quest'ultimo caso? Avrei cioè naturalmente un pelo di visone sullo stomaco? Quello che mi piacerebbbe decifrare è la ragione che determina in Italia, aldilà dell'ereditarietà (e schizofrenia) di ogni situazione, dei pensieri così divergenti, così inconciliabili, così diametralmente opposti. Infine mi chiedo: quanto io posso essere corruttibile? Se Berlusconi o chi per lui mi offrisse una cifra ingente, una tangente, un posto da dirigente della Mondadori o della Einaudi, quattrocento veline e candeline e una fornitura di papaya fermentata: in breve, sarei disposto a pensarla come lui o, perlomeno, come un Frattini? Chissà come mi comporterei; non mi piacerebbe esser messo alla prova sarebbe rischioso: sarebbe troppo facile rinnegare le proprie indignazioni probabilmente. Me le tengo, mi tocco i bassifondi, lancio uno sguardo a quel che resta della costellazione del leone, penso a mio babbo Vittorio che oggi avrebbe compiuto 82 anni e al fatto che a 16 anni (nell'agosto 1943) fu preso dai tedeschi e portato a Berlino in un Campo di lavoro² e mi dico: io merda (tolgo la 'd' per rivolgermi a me stesso) qualora dovessi pensarla come attualmente non penso, possa io diventare, appunto, una merda.
¹Hermann Broch, Gli incolpevoli, Einaudi, Torino, 1963 [anche il titolo del post è preso da tale Autore]
² Un giorno racconterò tale storia.
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