Leggere Sciascia per leggere l'Italia. Rileggere (è la mia terza volta) L'affaire Moro¹ per capire uno dei punti cruciali della storia della nostra repubblica. Gli occhi di Sciascia, gli occhi di Moro.
«Così pensava Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, già qualche anno prima: che tra il salvare una vita umana e il tener fede ad astratti principi si dovesse forzare il concetto giuridico di stato di necessità fino a farlo diventare principio: il non astratto principio della salvezza dell'individuo contro gli astratti principi. E così non potevano non pensare, nel loro essere o dirsi cristiani, gli uomini della Democrazia Cristiana: dalla base ai vertici.
Ma una insospettata e immane fiamma statolatrica sembra essersi attaccata alla Democrazia Cristiana e possederla. Moro, che continua a pensare come pensava, ne è ormai un corpo estraneo: una specie di doloroso calcolo biliare da estrarre – con l'ardore statolatrico come anestetico – da un organismo che, quasi toccato dal miracolo, ha acquistato il movimento e l'uso del “senso dello Stato”. Certo, è scomodo si sappia che Moro ha sempre pensato così; che non sono state le Brigate Rosse, con sevizie e droghe, a convertirlo alla liceità dello scambio di prigionieri tra uno Stato di diritto e una banda eversiva. Ma c'è rimedio: e nemmeno occorre tanto affaticarsi per applicarlo. I giornali indipendenti e di partito, i settimanali illustrati, la radio, la televisione: sono quasi tutti lì, in riga a difendere lo Stato, a proclamare la metamorfosi di Moro, la sua morte civile».
L'uccisione di Aldo Moro fu un'esecuzione capitale, perpetrata dalle Brigate Rosse, avallata dallo Stato. Lo Stato che, tre anni dopo, col rapimento di Ciro Cirillo, trovò naturale “forzare” il concetto giuridico di “non si tratta coi terroristi e gli eversori”, per liberare l'assessore regionale campano.
¹Leonardo Sciascia, L'affaire Moro, Sellerio, Palermo 1978
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