giovedì 3 giugno 2010

Si mangiavano rape cotte

«Duri erano in Lombardia vita e costumi ai tempi di Federico II ( 1250). Gli uomini si riparavano il capo con infule fatte di squame di ferro. Lor vesti erano manti di pelle senza decorazione alcuna o panni di lana rustica senza fodera. Con pochi soldi la gente si sentiva ricca. Gli uomini ambivano avere armi e cavalli. Se uno era nobile e ricco aveva l'ambizione di possedere alte torri da cui ammirare le città ed i monti ed i fiumi. Le donne si coprivano il mento e le tempie con bende larghe. Le vergini portavano tuniche di pignolato e sottane di lino e sul capo non recavano ornamento alcuno. Una dote normale si aggirava sulle 10 lire e al massimo si arrivava sulle 100 perché gli abiti delle donne erano quanto mai semplici. Nelle case non erano camini. Le spese erano ridotte al minimo perché d'estate la gente beveva poco vino e non si tenevano cantine. A tavola non si usavano coltelli: moglie e marito mangiavano in uno stesso piatto e per tutta la famiglia c'era una tazza o due al più. Non si usavano candele e la sera si cenava alla luce delle faci accese. Si mangiavano rape cotte e la carne solo tre volte la settimana. Il vestire era parco. Oggi invece tutto è suntuoso. Il vestire è divenuto prezioso e ricco di superfluità. Uomini e donne si agghindano con oro, argento e perle. Si bevono vini peregrini e di paese lontani, si consumano pranzi suntuosi e i cuochi sono tenuti in grande pregio».

Galvano Flamma, Opusculum. Brano trovano in Carlo M. Cipolla, Storia economica dell'Europa pre-industriale, Il Mulino, Bologna.

Stasera a Blob (geniale, come sempre) ho visto uno stralcio di Ballarò, quando Tremonti chiede provocatoriamente a Floris: «Ma lei quanto guadagna?» immagino per uscire dall'angolo dove le questioni della trasmissione lo avevano posto. E Floris, preso alla sprovvista da tale inacidita domanda, balbetta un «Sì, guadagno molto ma pago molte tasse» con un evidente stato di imbarazzo che risolleva l'animo del ministro. Certo, è difficile saper rispondere a tono alle provocazioni, non tutti hanno questo dono dell'immediatezza (nemmeno io ce l'ho). A bocce ferme, ripensando alla scena, se essa dovesse casomai replicarsi, suggerisco questa risposta: «Sono cazzi miei, se Lei vuole, signor Ministro, lo può sapere e dirlo ad alta voce (in fondo sono dati pubblici). Sappia che guadagno tutto alla luce del sole e che pago tutte le tasse del caso. Guadagnare molto non è una colpa. Io, per esempio, non ne faccio una colpa nemmeno a Lei o a Berlusconi (che guadagnate certo più di me. A proposito: io lo dico se promette che anche Lei subito dopo lo dice quando guadagna esattamente). Io vengo pagato quanto il mercato richiede. Lei viene pagato quanto i costi della politica richiedono. Io sono nel mercato, Lei no. Se io non produco ascolti vengo accantonato. Se Lei non produce benessere rimane dove è».


Nessun commento: