I critici ripetono,
da me depistati,
che il mio tu è un istituto.
Senza questa mia colpa avrebbero saputo
che in me i tanti sono uno anche se appaiono
moltiplicati dagli specchi. Il male
è che l'uccello preso nel paretaio
non sa se lui sia lui o uno dei troppi
suoi duplicati.
Eugenio Montale, Satura 1962-1970, Meridiani Mondadori, Milano 1984
La lettera di Roberto Saviano a Francesco Schiavone è una lettera potente, così tanto che sarebbe necessario, per motivi di studio, filmare l'espressione del destinatario se questi si degnerà di leggerla. E rileggerla. Sono convinto che per costui essa sarà dolorosa come e più di mille pallottole. Chissà. È uno sforzo difficile entrare nei panni del cosiddetto Sandokan, ma è un esercizio d'immaginazione utile per capire la potenza della lettera. Sinceramente, dopo le prime quattro cinque righe della lettera avrei voluto interrompere la lettura perché m'infastidiva quel “tu” ingiustificato. Ma poi Saviano ha, ed egregiamente a mio avviso, spiegato le ragioni di tale scelta “informale”.
«Ora che ti hanno arrestato anche il primo figlio, è giunto il tempo di collaborare con la giustizia, Francesco Schiavone. Sandokan ti chiama ormai la stampa, Cicciò o' barbone i paesani, Schiavone Francesco di Nicola, ti presentano i tuoi avvocati. E Nicola, come tuo padre, hai chiamato tuo figlio a cui hai dato lo stesso destino. Destino di killer. Accusato di aver ucciso tre persone, tre affiliati che avevano deciso di passare con l'altra famiglia, con i Bidognetti. Nessuno si sente sicuro nella tua famiglia, il tuo gruppo ormai non dà sicurezza. Non ti resta che pentirti. Questa mia lettera si apre così, non può iniziare diversamente, non può cominciare con un "caro". Perché caro non mi sei per nulla. Neanche riesco a porgertelo per formale cortesia, perché la cortesia rischia già di divenire una concessione che va oltre la forma. Scrivendo non userò né il "voi" che considereresti doveroso e di rispetto, né il "lei". Chi usa il "lei", lo so bene, per voi camorristi si difende dietro una forma perché non ha sostanza. Allora userò il tu, perché è soltanto a tu per tu che posso parlarti».
Ora, tutto sta nel come Schiavone interpreterà questo “tu”. Se lo sentirà come uno schiaffo, uno sputo o una ferita da lavare con altro sangue. Oppure se in esso troverà qualche appiglio per ritornare sulla terra, per ritrovare una traccia minima di umanità che lo tenga sospeso dal baratro dove si trova sprofondato. Sarà difficile, forse impossibile ma quella di Saviano è una mano tesa a chi con le unghie sta aggrappato all'orlo del precipizio. A Schiavone sta afferrarla o lasciarsi definitivamente precipitare nel vuoto.
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