mercoledì 7 aprile 2010

La parola come maschera del pensiero

«Fu Talleyrand che disse: “La parola serve non a rivelare ma a mascherare il pensiero”.
Vattelappesca quello che intendeva dire con questa frase, visto che parola gli serviva a mascherare il pensiero. Comunque, la massima riassume i canoni della politica di quel grande, rimasti poi tradizionali nella diplomazia, il cui studio fu sempre di dire il contrario della verità.
Voi direte che, una volta scoperto il sistema, esso perde ogni efficacia poiché basterà interpretare a rovescio le parole dei diplomatici. È quello che penso anch'io. Non capisco perché i diplomatici si ostinino a dire il contrario della verità, quando tutti sanno benissimo che bisogna intendere l'opposto di quello che dicono».

Achille Campanile, Vite degli uomini illustri, Rizzoli, Milano 1975

3 commenti:

paopasc ha detto...

Ma forse più prosaicamente la realtà è questa: il pensiero, non detto nè pensato in parole è estremamente libero. Quando collassa in parole, dette o pensate, perde molto della sua naturale complessità, fa una scelta, e forse è in questo che noi cogliamo una manchevolezza. Ci sembra incompiuto. Ecco, anche adesso: so benissimo cosa voglio dire, ma non sono stato capace di spiegarlo. E' questa la vera maschera del pensiero: la parola concentrata non riesce a rendere che parzialmente un'entità distribuita come il pensiero.

rom ha detto...

La parola serve anche a manifestare, non solo a celare, o a dire bugie - una delle attività più diffuse del mondo, non solo da parte dei politici e dei diplomatici: è un fatto universale di politica e diplomazia quotidiana, che in alcuni casi estremi porta alla follia conclamata o nascosta.
Ma ci sono parole per dire e parole per non dire.
Per cavarcela sotto la pioggia fitta delle parole - di cui siamo anche produttori, come quando stiamo incartati in qualche ingorgo di traffico cittadino e siamo vittime e parti attive di quella trappola - occorre far funzionare qualcosa che, volendola collocare nel tempo e nello spazio, sta prima mentre dopo sotto sopra a destra a sinistra dentro - m'è tornata in mente quella cosa che mi hanno detto degli aborigeni australiani, per i quali le direzioni dello spazio sono avanti, dietro, a destra, a sinistra, sopra, sotto e dentro. In questo caso, un dentro che non si fa sedurre, condurre seco, dalle parole: non si identifica con esse. Del resto, è un dentro che è nato vissuto e cresciuto per circa un lungo anno senza parole, solo con suoni immagini odori sapori sensazioni tattili. Se da grande non si identificherà con le parole, e poi arriverà a non identificarsi nemmeno con le sensazioni, secondo tanti uomini che hanno pensato a queste cose avrà buone possibilità di cavarsela vivendo invece di dire che vive.

Luca Massaro ha detto...

Sono onorato dei vostri commenti, cari Paopasc e Rom. E sto dicendo la verità
:-)