Di poi (salto di palo in frasca), siccome oggi m'è tornato in mente l'aforisma 125 della Gaia Scienza nietzschiana, inelegantemente mi autocito. E aggiungo questo passaggio di René Girard, tratto da un saggio¹ ove il pensatore francese commenta, appunto, il suddetto aforisma.
«Il punto è che gli dèi non devono esistere realmente per essere uccisi e, di fatto, se non vengono prima uccisi, essi non esisteranno mai. Contrariamente agli esseri ordinari, che possono esistere solo se non vengono assassinati, gli dèi cominciano a esistere come dèi, perlomeno agli occhi degli uomini, soltanto dopo essere stati uccisi» [...]
«Le conseguenze dell'assassinio di Dio sono dunque religiose, squisitamente religiose. Proprio l'azione che sembra porre termine al processo religioso è in effetti l'origine di quel processo, la usa ricapitolazione completa, il processo religioso per antonomasia».
Ma allora dov'è la peculiarità cristiana? Primo: nella sua continuità con tutti i processi generativi del sacro. Secondo: nella sua capitale diversità; “mi hanno ucciso senza ragione”; Gesù muore senza alcuna colpevolezza; il suo presunto essere ribelle è smentito dalla stessa delusione che, il giorno prima, i suoi discepoli (in primo luogo, Giuda) avvertono quando capiscono che egli non è un banale rivoluzionario in lotta per il potere, vedasi l'Unzione a Betania e Il tradimento di Giuda*:
Mentre Gesù si trovava a Betània, in casa di Simone il lebbroso, gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro di olio profumato molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre stava a mensa. I discepoli vedendo ciò si sdegnarono e dissero: «Perché questo spreco? Lo si poteva vendere a caro prezzo per darlo ai poveri!». Ma Gesù, accortosene, disse loro: «Perché infastidite questa donna? Essa ha compiuto un'azione buona verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi, me, invece, non sempre mi avete. Versando questo olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura. In verità vi dico: dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei».
Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: «Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d'argento. Da quel momento cercava l'occasione propizia per consegnarlo.
«Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione piú grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtú di questa azione, ad una storia piú alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!“»².
La grandezza di Gesù Cristo (umana? divina?) consiste proprio nel togliere ogni giustificazione espiatoria all'essere umano in cerca di vittime per scaricare altrove la violenza che gli appartiene. Con Gesù Cristo la violenza cessa di essere trascendente e diventa tutta immanente. Il sacro ridiscende tutto sulla terra come pioggia. Fondare una religione sul nome di colui che le ha sputtanate tutte col proprio corpo, col proprio sangue, con le proprie lacrime, con l'abbandono totale nel quale si ritrovò, mi sembra davvero un'aberrazione. Il cattolicesimo, più si rinsalda nel sacro, più “tradisce” la sua origine. Dio non si rappresenta sulla terra se non nella sua morte. La Crocifissione rappresenta la morte del sacro. Un sacrificio estremo per farla finita con tutti i sacrifici. Per questo, forse, paradossalmente, sacrificio definitivo. Gli attori della scena sono tutti umani, e necessariamente. Il Figlio dell'Uomo che si fa crocifiggere consapevole della propria innocenza per mostrare interamente come la violenza non abbia alcuna giustificazione e come essa, ripetiamolo, appartiene tutta quanta alle mani umane. Sulla croce sono quelle le mani inchiodate. E la Resurrezione? Per me la Resurrezione è solo il fatto che, nonostante tutto, ancor oggi si continua a parlare, a ricordare questo evento che si è universalizzato. La Chiesa ha il solo merito di essere stata una tramite di tale trasmissione di sapere. Ma è un sapere che non riesce a dominare fino in fondo. E perché io lo domino? Per carità, io sono un minimo fortunato lettore incappato in certe teorie antropologiche che mi rendono chiaro certi passaggi evangelici e che me li fanno apprezzare per ragioni umane, troppo umane. Certo, il meme della resurrezione della carne è ben inserito nella mia mente. Tale consapevolezza memetica mi fa dire che forse tutto ciò è solo “credenza” inutile, ingiustificabile. Ecco: a ma non importa se Cristo sia risorto o meno. A me importa che la sua storia abbia fatto cadere dal cielo gli dèi. A me fa incazzare che una Chiesa che si fonda sul suo nome ce li voglia rimettere per mantenere il suo fottuto potere mondano. Dio è qui e ora o non è. L'aldilà è un non-luogo a procedere.
P.S.
Scusate la lunghezza
¹René Girard, “Dioniso e il Crocifisso”, da Il caso Nietzsche, Marietti, Genova 2002
²Friedrich Nietzsche, La gaia scienza
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