«Chiameremo puerilismo l'atteggiamento di una società che si comporta più infantilmente di quello che le concederebbe il grado del suo discernimento, di una società che invece di allevare il ragazzo innalzandolo a uomo, abbassa sé ai comportamenti della puerizia. L'espressione non ha nulla a che fare col concetto di "infantilismo" della psicanalisi. Riposa su constatazioni e accertamenti di carattere culturale, storico, sociologico, che sono palesi. Non vi collegheremo nessuna ipotesi piscologica»
Huizinga prosegue dicendo che «un certo grado di puerilismo» è sempre esistito in tutti i periodi di civiltà. Tuttavia «c'è una grande diversità tra la follia d'una volta e la puerilità di oggi». La diversità consiste nel fatto che, un tempo, lo spazio del giuoco aveva un precipuo carattere sacro ed era confinato dentro le attività del rito e del culto «in un punto limitato dello spazio e del tempo. [...] Entro questi limiti la vita ordinaria è temporaneamente sospesa. La realtà al di fuori del luogo dello spettacolo per il momento dimenticata, ci si abbandona a un'illusione collettiva, il giudizio libero è messo da parte». Questo accadeva perché «il carattere essenziale di ogni giuoco, sia esso culto, rappresentazione, gara o sagra - sta in ciò, che a un determinato istante esso finisce. Gli spettatori vanno a casa, gli attori depongono la maschera, la rappresentazione è finita. Ed ecco rivelarsi a questo punto la menzogna del tempo nostro: il giuoco in certi casi non finisce mai, non è dunque un vero giuoco. Ha preso piede. È avvenuta una vasta contaminazione di giuoco e di serietà. Le due sfere si confondono». Questa contaminazione, secondo Huizinga, si ritrova nel corso di ogni società umana. Tuttavia «è però assai dubbio privilegio dell'odierna civiltà occidentale d'avere mescolato a un grado estremo queste due sfere di attività. In infiniti uomini, colti o incolti, l'atteggiamento di giuoco di fronte alla vita, che è proprio del fanciullo, diventa permanente [...] Permanente puerilismo. Esso si distingue per una mancanza di sensibilità e rispetto a quello che è conveniente e umano, per una mancanza di dignità personale, di rispetto verso gli altri e le altrui opinioni, per un'eccessiva concentrazione nella propria personalità. L'universale indebolimento del giudizio e della critica crea il suolo propizio a questa condizione. La massa si trova a suo perfetto agio in uno stato di semilibera esaltazione. È uno stato che, grazie al rilassamento di quelle inibizioni che derivano da un forte convincimento morale, può, da un momento all'altro, diventare pericolosissimo».
Huizinga prosegue dicendo che «un certo grado di puerilismo» è sempre esistito in tutti i periodi di civiltà. Tuttavia «c'è una grande diversità tra la follia d'una volta e la puerilità di oggi». La diversità consiste nel fatto che, un tempo, lo spazio del giuoco aveva un precipuo carattere sacro ed era confinato dentro le attività del rito e del culto «in un punto limitato dello spazio e del tempo. [...] Entro questi limiti la vita ordinaria è temporaneamente sospesa. La realtà al di fuori del luogo dello spettacolo per il momento dimenticata, ci si abbandona a un'illusione collettiva, il giudizio libero è messo da parte». Questo accadeva perché «il carattere essenziale di ogni giuoco, sia esso culto, rappresentazione, gara o sagra - sta in ciò, che a un determinato istante esso finisce. Gli spettatori vanno a casa, gli attori depongono la maschera, la rappresentazione è finita. Ed ecco rivelarsi a questo punto la menzogna del tempo nostro: il giuoco in certi casi non finisce mai, non è dunque un vero giuoco. Ha preso piede. È avvenuta una vasta contaminazione di giuoco e di serietà. Le due sfere si confondono». Questa contaminazione, secondo Huizinga, si ritrova nel corso di ogni società umana. Tuttavia «è però assai dubbio privilegio dell'odierna civiltà occidentale d'avere mescolato a un grado estremo queste due sfere di attività. In infiniti uomini, colti o incolti, l'atteggiamento di giuoco di fronte alla vita, che è proprio del fanciullo, diventa permanente [...] Permanente puerilismo. Esso si distingue per una mancanza di sensibilità e rispetto a quello che è conveniente e umano, per una mancanza di dignità personale, di rispetto verso gli altri e le altrui opinioni, per un'eccessiva concentrazione nella propria personalità. L'universale indebolimento del giudizio e della critica crea il suolo propizio a questa condizione. La massa si trova a suo perfetto agio in uno stato di semilibera esaltazione. È uno stato che, grazie al rilassamento di quelle inibizioni che derivano da un forte convincimento morale, può, da un momento all'altro, diventare pericolosissimo».
Johan Huizinga*, La crisi della civiltà, Einaudi, Torino 1962
2 commenti:
Questo brano mi sembra molto interessante...
Ritualità e culto. Devono necessariamente essere legati a delle divinità? Dovremmo rimpiangerli? E gli ultrà delle curve non partecipano forse ad una ritualità ogni domenica?
Il sacro è ancora intorno a noi, dentro noi, sparpagliato. Il problema è che, rispetto agli antichi, noi ne siamo consapevoli fino a un certo punto. Viviamo in una società dove ogni sacrificio (offerta votiva agli dèi) è stato reso impossibilitato dal "sacrificio" del Cristo: non si può più espellere, "sacrificare" il sacro ch'è in noi per farci vivere in pace; non ci si può, in breve, accordarsi ai danni di una vittima (seguo qui in toto René Girard). Dunque, per rispondere alle tue preziose domande: toglierei ad esse il punto interrogativo, tranne a «dovremmo rimpiangerli?». A tal domanda rispondo: sì, se noi umani perseveriamo in questo stato di puerilismo; no, se dovessimo tornare produrre in serie capri espiatori e a credere unanimemente alla loro colpevolezza.
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