«è diventato pura idiozia da quando è strombazzato dall'onnipresente réclame [...] Come gli individui hanno troppo poche, e non troppe inibizioni, senza essere per questo di un briciolo più sani, un metodo catartico che non trovasse il proprio criterio nell'adattamento e nel successo economico, dovrebbe condurre gli uomini alla coscienza dell'infelicità, dell'infelicità generale e della propria, indissolubilmente connessa alla prima, e toglier loro le soddisfazioni apparenti attraverso le quali l'ordine odioso si riproduce e si conserva dentro di essi, come se già non li tenesse in pugno dall'esterno. Solo nel disgusto dei falsi godimenti, nella resistenza all'offerta, nel sospetto dell'insufficienza della felicità, anche dove questa felicità esiste ancora, e tanto più dove è acquistata a prezzo della rinuncia alla resistenza - dichiarata morbosa - contro il suo surrogato artificiale, potrebbe affiorare l'idea di una vera esperienza»*.
si potrebbe, cioè, rimpossessarsi della realtà, riconoscere i propri limiti e difetti, farsene una ragione, non cercare d'imporre i nostri miseri io alla (forzata) attenzione degli altri. Abitare la terra...
*Theodor W. Adorno, Minima moralia, Einaudi, Torino 1979 (pag. 63-64)
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