domenica 5 settembre 2010

Illudersi di comunicare

«M. si svegliò all'alba con la sensazione di aver fatto un brutto sogno. In realtà ciò che l'aveva svegliato prima dell'ora consueta erano dei rumori, dei fruscii leggeri come di persona che camminasse scalza nella stanza.

D'istinto M. allungò la mano verso il corpo della giovane moglie che dormiva accanto, ma non sentì nulla: le lenzuola erano ancora calde ma la moglie non c'era. Allora si svegliò del tutto, rapidamente, dolorosamente, con la percezione esatta di un fatto all'apparenza assurdo ma proprio per questo ancora più vero: percepì cioè che da quell'istante egli non avrebbe mai più rivisto la moglie e che lei era letteralmente scomparsa dalla sua vita, da quella casa, da quel letto e, in generale, dalla realtà.

Invece la moglie era lì, in camera, camminava in punta di piedi per non farsi sentire e con una rapidità e un'organizzazione insolite in lei così allegramente sbadata, preparava una grossa valigia. M. non parlò subito, rimase qualche istante ad osservarla nella penombra.

[…]

M. parlò e chiese alla moglie cosa faceva. Poi accese la luce […]

Niente” disse, e continuò a fare la valigia, ma stancamente […] “Non faccio niente.”

M. fu preso da sgomento: come spesso accadeva anche questa volta non sarebbe riuscito ad afferrare il senso delle cose, o, per meglio dire, il senso della realtà. Sua moglie era lì, all'alba, e stava preparando una grossa valigia: com'era possibile che non facesse niente come lei affermava? Qualcosa doveva pur avere l'intenzione di fare, forse aveva intenzione di partire, ma come, così, di primo mattino e furtivamente?

Come niente?” chiese M. innervosito. “Invece di dormire fai la valigia di nascosto, io lo vedo con questi miei occhi, ti chiedo cosa fai e tu dici niente. Qualcosa stai facendo...”

Gli occhi bassi, rovistando nella valigia svogliatamente, la moglie non rispose.

Rispondi: stai facendo qualcosa oppure non stai facendo nulla?”

La moglie seguitava a non rispondere ed M. sentì che la realtà si stava sciogliendo intorno a sé e cessava d'esistere insieme a tutti i suoi significati. Forse la ragione avrebbe potuto ricomporla, restituirla alla sua primitiva esistenza, ma questo non sarebbe avvenuto. “Siamo soli,” pensò M. quasi senza accorgersene, “e non vi è nessuno strumento di comunicazione che possa valere a qualche cosa: anche il linguaggio, o lo sguardo, non servono più a nulla. Se io mi fossi svegliato di soprassalto come è successo ora e avessi davanti a me un insetto, un animale o una pianta, sarebbe la stessa cosa. Avrei davanti a me un organismo vivente con il quale, proprio perché vivente, io m'illudo di comunicare, ma che non risponderebbe a nessuna mia domanda e mi guarderebbe o mi sentirebbe a seconda dei suoi strumenti percettivi, a me sconosciuti, come ora mi guarda mia moglie.”

Il desiderio di udire ancora una volta la voce della moglie che smentisse un così caotico e profondo isolamento, quale che fosse la risposta, cacciò questi pensieri ed M. chiese ancora:

Ti prego, rispondimi: di' qualunque cosa ma fammi almeno sentire la tua voce, se non quello che pensi.”

Il buio negli occhi della moglie si rischiarò per un istante, per un istante parve ad M. di scorgere la cornea e la pupilla che affioravano dall'oscurità. La donna emise un piccolo suono, un verso o unostrido che volevano essere un sorriso. Poi, dopo qualche tempo, vedendo che M. si era sdraiato col capo sul cuscino, a voce così bassa da non poter distinguere il senso delle parole, disse:

Ao ia.”»

Goffredo Parise, Il crematorio di Vienna, Feltrinelli, Milano 1969

1 commento:

Anonimo ha detto...

guai ad arrendersi
impariamo la nuova lingua, se serve

comunico, dunque sono (e siamo)

fino ad un certo punto però...se non si VUOLE comunicare, beh...les jeux sont faits (vAdO vIA)