martedì 14 settembre 2010

Essere malati da tempo

Era malato da tempo. Con questa espressione, i giornali ricordano, coi loro coccodrilli, i personaggi più o meno famosi morti a causa di un cancro. Nominare cancro, tumore è una sorta di tabù e per i titolisti e per i redattori, come se tali le parole in sé fossero infette o, appunto, cancerogene. Essere malati da tempo: ma tutti siamo malati da tempo nel tempo, tutti siamo lanciati nella corsa verso la fine. L'essere malati da tempo non significa nulla, colloca in un imprecisato passato il cominciamento del male, ma non ne trova la causa, non ne svela l'origine.*

«Alla malattia infettiva e contagiosa basta per impiantarsi la debolezza fisica, l'immunità cedente, ma il cancro è specialmente attratto dal sovraccarico di attività psichica, dagli sconvolgimenti dell'anima, dell'esasperazione artificiale di raggelate passioni, e s'iscrive nelle configurazioni urbane impazzite, in cui la migliore organizzazione sociale, i più sibaritici servizi pubblici disseminano tacitamente metastasi, in cui il progetto di ogni esistenza individuale è inesorabilmente collocato in stabulari di cancro sperimentale al solo fine di produrre dati».
Guido Ceronetti, La fragilità del pensare, BUR, Milano 2000.

*Pensavo queste cose, ieri, leggendo della morte dei giornalisti Guido Passalacqua e Pietro Calabrese e del cineasta Claude Chabrol. Il pensiero è corso parimenti a quei personaggi famosi (Christopher Hitchens, Micheal Douglas) che hanno fatto outing del loro essere malati di cancro: e hanno fatto bene. Però non dovrebbero limitarsi a dirci, «non pregate per me» o «lotteremo fino alla fine». No, dovrebbero indagare su se stessi, dovrebbero scoperchiarsi in piazza fino in fondo, analizzarsi al rallentatore per capire cosa in loro abbia provocato questa proliferazione di cellule impazzite. Dicano i loro trascorsi genetici, le loro abitudini alimentari, gli ambienti ove hanno vissuto, il loro sonno, i loro sogni, i loro timori, le varie vicissitudini critiche che li hanno attraversati, le loro quaranta sigarette o i loro mezzi bicchieri di scotch. Questo è vero outing, è vera lotta continua. I modelli per il popolo che offrono al popolo conoscenza, indagine vera sul sé, sulla malattia che consuma e avvilisce.
Nessuna ricetta magica, solo offrire a ognuno di noi il pungolo di leggersi dentro fin dove possibile, per capire che ogni parte del nostro corpo ha bisogno di ascolto.

1 commento:

Anonimo ha detto...

E hai ragione su tutto! Dal non sentire mai la parola CANCRO, che viene spesso sostituita (come il titolo del tuo blog), come se il cancro fosse l’unico male che può tenere una persona per lungo tempo a letto prima della fine. E anche sul fatto che questi vip che, con coraggio, (glie lo devo riconoscere, invece di chiudersi, inutilmente, nel loro dolore, con le teste rasate, per la chemio, come purtroppo ho visto fare a molti) si sbracciano a dire ciò di cui sono affetti. Ma non è abbastanza! Quel che tu dici è vero, ma loro, forse nemmeno ci arrivano a pensarlo, che possono essere molto utili a tutti, non solo alla ricerca. Dovrebbero leggerti anche loro.
Ania