«(Mi spiego: è inutile pensare a una forma di ironia quando dico che Madame Edwarda è DIO. Ma che DIO sia una prostituta di casa chiusa e una pazza, questo non ha ragionevolmente senso. A rigore, sono contento che si rida della mia tristezza: può intendermi solo chi sia ferito al cuore da una ferita inguaribile, dalla quale nessuno ha mai voluto guarire...; e quale uomo, ferito, accetterebbe di “morire” d'altra ferita?)»
George Bataille, Madame Edwarda, da Tutti i romanzi, Bollati Boringhieri, Torino 1992 (a cura di Guido Neri).
Lucas abbandonò il suo campo di azione, ferito ma non sconfitto, con una grande pena al cuore. Rilesse i minuti della sua penosa giornata e constatò che doveva scegliere una via di fuga. E fu silenzio. Arrivò una collega per distrattamente sottolineare che lui era importante qualunque cosa fosse accaduta. «Sì, lo so, grazie; non ti preoccupare mia cara», le rispose notando come la sua sigaretta obliqua non le donasse affatto nel suo goffo tentativo di sedurlo. Nessun bacio era possibile, nessun abbraccio. Si passò la lingua sul palato per essere sicuro che gli sarebbe bastato il suo di amaro in bocca. Accartocciò allora il foglio bianco e lo gettò nel cartone della differenziata pensando che tutto sarebbe stato inutile. Che differenza intercorre tra il vivere innumerevoli vite e la cenere che purifica e concima il terreno avvelenato? Eppure scegliere era necessario, soprattutto per lui che si era sempre lasciato scegliere la vita dalle circostanze. «Non è questione di palle», pensò (le sue erano gonfie), né di carattere, aggiungiamo noi, fedeli trascrittori dei suoi pensieri. È, forse, quella sorta d'illuminazione interiore che non ha mai capito bene da dove arrivasse né dove lo portasse. Addirittura, a volte, aveva il sospetto e il timore di poter esser considerato una specie di reincarnazione di un Siddharta o di un piccolo Budda. E questo pensiero lo portava a sorridere e a farsi linguaccia nello specchio dell'ascensore che scendeva a pianterreno. Allora riprese l'auto, raggiunse il più vicino supermercato, entrò, fece la spesa, si bevve un succo di mirtillo e, con le labbra violacee, si avvicinò alla cassa e alla cassiera sorridente disse:
Nel mezzo de la mente mia risplende
Un lume de' begli occhi ond'io son vago
Che l'anima contenta.*
E la cassiera, stupita: «Oh che belli questi versi, me li regala?».
E lui: «Certo, però mi renda il resto».
La via di fuga era a portata di mano.
*Dante Alighieri, Rime dubbie, LXI, 4-6
6 commenti:
mi pare che per le vie di fuga non si vada da nessuna parte
oh, caro Alex il fu.
Prima sillaba di fuga.
Prova a cambiare la seconda vocale.
Può essere una chiave di lettura.
Può essere, ma non è detto che lo sia.
Saluti. E torna presto a blogghettare.
per fortuna qualcuno se le lascia aperte sempre le vie di fuga...
questa è l'intelligenza dell'istinto di sopravvivenza
ridurre gli sprechi
concentrarsi sull'essenziale
seconda vocale (a) o seconda lettera (u)?
ok per la chiave di lettura, ma esprimevo una mia sensazione - triste quanto vuoi, che in data situazione, la via di fuga non risolve niente, non si fugge (o si figge). che, lo ammetto, non è un bel pensiero con cui convivere (soprattutto prima di andare a dormire)
ops, prima vocale, hai ragione
scelta giusta, quella di passare per la cassa.
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