domenica 19 settembre 2010

Il Fuoco sacro. Cap.1(I)

1. Verità religiosa e menzogna spirituale... ?

Spirituale e religioso non sono sinonimi. Questi due campi della realtà possono combaciare. Essi non si sovrappongono. Si eviteranno, si spera, delle inutili polemiche invitando a non confondere questi due termini cugini, che sono dei falsi fratelli.
L'esperienza spirituale concerne il soggetto e la sua vita interiore; quel che richiama le «operazioni di Dio nell'anima». Brutalmente, le migliori tracce di vita spirituale non sono mai in prima persona: Giovanni della Croce, Teresa d'Avila, Pascal – in forma di diario, note o confessioni? L'esperienza religiosa è rivolta verso il collettivo; essa estroverte l'intimità e offre la possibilità di vedere l'invisibile raccordando le vette ispirate alla pianura, e il più eletto al più triviale. Il primo coltiva l'unione dell'anima a Dio (oggetto delle teologie dette «mistiche», e per i preparativi a quest'unione, «ascetiche»); mentre il secondo, l'unione dell'individuo coi suoi simili, costellando il suo ambiente di templi, calvari, moschee o sinagoghe, fornendo una scuola per i suoi figli, e una tomba per i suoi genitori. Assumendo fino in fondo «l'incronizzazione» [inchronisation] dell'Eterno, il lavoro religioso assume la carne del mondo per farne lievitare la pasta. Egli aggiunge alla fusione dei cuori la disposizione dei giorni, rinforzando la coesione del gruppo mediante ogni sorta di pratica devozionale, ognuno ritrova ciascuno. Lo spirituale strappa dalla quotidianità; il religioso la occupa. Quest'ultimo, infatti, non fa che organizzare le processioni, ridistribuire le decime e amministrare i sacramenti. Il religioso comanda e obbedisce, esplora continenti (come Cirillo e Metodio in Europa, Francesco Saverio in India, Las Casas in America), costruire palazzi e organigrammi. Gli capita persino di fare la guerra (6500 preti francesi morti nel 1914-18). all'inizio dello scorso secolo, i fumatori d'oppio dagli occhi a mandorla, fantasticando sulle loro stuoie, ebbero la tentazione dell'Occidente, quella dell'azione. I giochi si ribaltarono. Ecco l'Asia all'inizio dell'opera, mentre l'Europa ha adesso la tentazione dell'Oriente. Stanca di fare, vuole essere. A ognuno il suo turno.
Fin dal 1920, in Quai d'Orsay [sede del ministero degli esteri francese] esiste (su decisione di un uomo del progresso, Aristide Briand) un consigliere agli affari religiosi, direttamente dipendente del ministro. Esiste anche, in seno alla Direzione generale dell'amministrazione del ministero dell'Interno, della Sicurezza interna e delle Libertà locali, un Ufficio centrale dei culti (incastonato nel Servizio degli affari politici e della vita associativa). Questi due uffici non hanno il posto che meritano, soprattutto in regime di laicità, ma essi rispondono a un bisogno elementare di ordine pubblico. Non si conosce ancora in Europa un «Ufficio centrale degli affari spirituali». Se ci fosse o farebbe ridere o sarebbe da prendere come un segnale d'allarme (il ministero dei Vizi e delle Virtù è afgano). Esiste un atlante, una carta elettorale, una sociologia delle religioni, non delle spiritualità. E ciò con cognizione di causa, dacché non può esserci religione senza un particolare marcamento dello spazio, senza chiese o chierici inscritti in un territorio, né senza una certa organizzazione del tempo, regolata da un calendario degli obblighi di fede e delle feste religiose. Attenti però, una religione non è un'opinione, un religioso non è un opinion maker. Il religioso è un uomo d'azione che ne suscita altri. Egli fabbrica mappe, riempie l'agenda, taglia le barbe, sorveglia la cucina, ripara i tetti e fonda delle scuole, in breve: fissa i punti cardinali senza i quali, per le anime in pena, tutto sarebbe deserto o foresta impenetrabile: itinerari di pellegrinaggio, santuari, riposi e digiuni, ritiri e ritrovamenti. Lo spirituale si prepara alla morte, il religioso prepara le esequie. Alle meditazioni solitarie dell'uno replica la cura che l'altro prende per la liturgia – etimologicamente, il servizio del popolo. Ci sono delle religioni senza ortodossia, ma non religioni senza ortoprassi – regolazione dei comportamenti con cui lo spirituale può svolgersi. Si riconosce lo spirituale dal fatto che esso rifiuta le definizioni (a cominciare da quella di spirituale), le smancerie, gli abiti ricamati, i passaporti e il diritto canonico. Esso scavalca ogni frontiera. L'esperienza vissuta d'unione con il divino attraversa le culture del mondo. Così, gli spirituali di ogni confessione possono ritrovarsi, a Fès o altrove, di preferenza con la musica sottofondo come lingua universale di ogni tempo. I religiosi, invece, non abitano la stessa latitudine. Malgrado essi non ne abbiano, sono prigionieri di una memoria e di una sola, questi questi condottieri di uomini si votano dapprima ai loro dogmi, ai loro vessilli e ai loro fedeli.

Régis Débray, Le Feu sacré, Fayard, Paris 2003 (pag. 27-29 trad. mia)


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