Il sabato mattina mi reco spesso in biblioteca comunale. Entro e, quasi sempre, mi dirigo senza una meta precisa verso gli scaffali di libri di narrativa e saggistica varia pubblicati (più o meno) tra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '90 del Novecento. Sabato scorso, in un angolino basso, altezza piedi, scovo la prima edizione de Il crematorio di Vienna di Goffredo Parise edita da Feltrinelli nel novembre del 1969 che subito presi in prestito. Accanto a tale libro (non ho mai capito bene il criterio di catalogazione adottato dalla biblioteca in questione), coperto (esso solo!) da una spessa coltre di polvere sulla sua costola superiore, vidi anche, di John Cheever, Un vero paradiso¹, (titolo originale Oh What A Paradise It Seems del 1982) pubblicato da Garzanti (traduzione di Ettore Capriolo) nel 1984; anche di esso si tratta di una prima edizione (finita di stampare il 30 aprile 1984, appunto) ma, un po' per la polvere e un po' perché ho un sacco di libri avviati che m'aspettano, non lo presi.
Ora, si dà il caso che in settimana, Giulio Mozzi (qui) abbia parlato di un libro di John Cheever in modo tale da invogliarne la ricerca e la lettura. Stamani, dunque, son tornato sui miei passi e ho preso il libro su indicato dell'autore americano e ho avuto la subita impressione di aver tra le mani un piccolo capolavoro. Eccone un assaggio:
All'epoca della quale sto scrivendo, il jogging era molto diffuso in tutte le città del mondo che lui conosceva. Verso la fine della giornata, a Rotterdam o a Mosca, nel brillante riverbero invernale che allieta a volte New York o nella prime nevi di Copenhagen, vedevi uomini e donne di tutte le età e di tutti i ceti venire avanti per godersi una bella corsa. I soli premi di queste fatiche erano piccoli trofei senza valore. Presto naturalmente sarebbe intervenuta la commercializzazione, ma sarebbe intervenuta soltanto dopo, e il jogging era ancora uno dei pochi sforzi umani impegnativi che non avesse alcun rapporto con le banche. Una sera ad Amsterdam o a Leningrado – Sears non ricordava la città ma doveva avere una certa conoscenza della lingua che vi si parlava – Sears aveva fermato una dozzina di joggers per chiedere loro perché correvano. «Corro per trovare me stesso», dicevano. «Corro per perdere peso, corro perché sono innamorato, corro per dimenticare i miei debiti, corro perché ho il cazzo duro da tre settimane e spero di calmarmi, corro per sfuggire a mia suocera, corro per la gloria di Dio». Tutte le risposte gli erano parse soddisfacenti e comprensibili, e ora, ogni volta che al crepuscolo, a Bucarest o a Des Moines, a Venezia o a Calgary, vedeva comparire i joggers, essi erano per lui una prova caparbia e irriducibile della ferma decisione d'eccellere dell'uomo. E mentre attraversava la città in quella sera di pioggia lo superarono molti di loro. Lei venne ad aprirgli in vestaglia, una logora vestaglia azzurra. Lui si spogliò in meno di un minuto. «Non ne potevi proprio più,» disse lei teneramente, un po' di tempo dopo.
A parte. Provate per divertimento a sostituire le parole jogging con blogging e joggers con bloggers.
¹Attualmente il libro è edito da Fandango. Vedi qui.
4 commenti:
Interessante raffronto, mi pervade però un dubbio, ho alcuni amici, un tempo costanti bloggers, che ora si son dati al jogging. ;)
che posti meravigliosi sono le biblioteche.
spiacente Luca ma non condivido l'opinione circa il capolavoro. Mi domando a volte cosa ci trova la gente in certi testi, ma così, senza arroganza o protervia: pura curiosità.
caro Paolo, rispetto la tua opinione, conservo la mia ricordando di aver detto "piccolo" capolavoro. Mi sono piaciuti la storia, la scrittura, i personaggi.
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