«La significazione, la manifestazione traggono il loro nome da qualcosa che sta sotto. Ma questo star sotto, se viene introdotto nel contesto discorsivo, non sta più sotto. Ciò che sta veramente sotto non si può dire sostanza, poiché a esso non spetta nessun nome, poiché appunto è nascosto e può soltanto venire espresso. ‘Sostanza’ è invece anch'esso un termine discorsivo; in quanto una rappresentazione si dice espressione di qualcosa, in tanto essa può considerarsi come sostanza.
Similmente si può supporre che Aristotele, se inteso con sottigliezza, usasse il termine ‘sostanza’ (usia), che anzitutto è una categoria, cioè un predicato, o in altre parole una rappresentazione, e inoltre svela, nomina la natura di un'immediatezza, che sta fuori del contesto rappresentativo.
Così, se per avere un senso la sostanza va ancora inclusa nella rappresentazione, il suo stare sotto dovrà essere riportato più in alto, e sarà proprio questo strumento di conservazione che chiamiamo ‘espressione’ a costituire la sostanza, in quanto allusione a qualcosa di nascosto. Il mondo quale si presenta ai nostri occhi, in generale e in ogni configurazione particolare, è dunque, come sostanza, un'espressione di qualcosa di ignoto».
Giorgio Colli, Filosofia dell'espressione, Adelphi, Milano 1969 (pag. 21)
Ultimamente, abbiate pazienza, metabloggheggio. Parlo non tanto di cose esterne del mondo ma concentro l'attenzione sul modo di fare blog e sul mio modo di intendere la cosa.
Certo, io mi appoggio ai giganti, sperando di non tradirli troppo sennò mi danno anche qualche scappellotto. Il blog è un tentativo di rappresentazione della propria sostanza. Scrivere qui è sia sinonimo di scavare (uno scavo a cielo aperto; un'archeologia del proprio io sotterrato dal mondo e la fatica di tirarlo fuori e dargli senso); sia sinonimo di incidere sulla propria pelle i tatuaggi del proprio pensiero (c'è chi si fa una farfallina su un gluteo o chi si fa un'aquila sopra il coccige, entrambi goffi tentativi di prendere il volo).
La scrittura del blog è come un bisturi che apre l'organismo del proprio io e lo espone alle ruote degli Esposti o degli Innocenti affinché qualche buonanima lo adotti.
C'è chi si presenta col cuore in mano, chi col fegato, chi col tristo sacco¹ (a quest'ultimo gruppo appartengono molti foglianti). E tutto questo perché il blogger nutre l'esigenza di non restare sempre in superficie. E il blog diventa come una stella marina. Lascio parlare Gaber nel suo monologo Dopo l'amore.
«Bisognerebbe amarla una pancia, voglio dire… dentro, invece di restare sempre in superficie. Bisognerebbe amare tutto di una persona, il fegato, lo stomaco, la coratella! Bisognerebbe esporle le cose, farle vedere. Guarda le stelle marine, sempre con lo stomaco di fuori. Poi mica discorsi eh! Mai viste far teorie sull'amore, le stelle marine. Bisognerebbe parlare di meno e andare in giro con tutto di fuori».
Lo crediate o meno, io sono a buon punto dell'esposizione, dello scavo, dell'incisione. Mi sento aggrappato a questo luogo come un tempo erano aggrappati i pittori alle impalcature (con minore pericolo, difficoltà e senso artistico, beninteso).
¹Inferno, canto XVIII, 26-27
¹Inferno, canto XVIII, 26-27
3 commenti:
Ho capito qualcosa, forse. Tu sei una delle espressioni del mondo, che è ignoto. O no? Le cose che scrivi sono espressioni di te, che sei ignoto. E' così?
Ora ho un altro problema, che ti pongo pur sapendo che tanto non rispondi: se una cosa è ignota non perché uno è ignorante ma perché non può essere conosciuta, è non solo ignota ma anche ignobile?
Non volevo offenderti: in caso, tu sei ignoto ma solo a noi, non anche a te stesso, in più sei tendenzialmente asintoticamente conoscibile anche a noi, parli, ti esprimi, rappresenti la tua volontà. Ma il mondo è ignobile, se così si dice. Infatti: una pietra è una pietra e lì finisce, come le mie domande. Che vuoi che esprima? Quale volontà?
È vero, caro Rom, raramente rispondo ai commenti, dato che quello che avevo da dire, da esprimere (e la fatica di tirarlo fuori) mi sembra sempre dentro al post.
Però se ci sono domande dirette rispondo.
Sì, sono "una" delle molteplici espressioni del mondo (anche tu lo sei); siamo come corpi gravitazionali distanti l'uno dall'altro e ci giriamo intorno senza mai venire realmente in contatto. A volte però, in varie forme, il contatto si stabilisce, si riesce ad atterrare reciprocamente e dolcemente nei rispetti suoli, e ci si compenetra. Questo nel migliore dei casi. Altrimenti c'è anche il rischio di catastrofe.
L'esposizione di sé mediante qualsiasi forma di espressione umana (artistica o meno) è un darsi, un riconoscersi "orfani" in attesa di adozione.
Dunque, sì: il blog, nato come esigenza di manifestazione del proprio sé, ha avuto la fortuna di essere stato adottato da un piccolo gruppo di lettori che mi hanno aiutato e aiutano a crescere, a venire al mondo.
Buona giornata.
Grazie della risposta, Luca!
Giocavo con te, penso sia possibile. L'esistenza di te, persona di cui avverto l'intelligenza di cui il blog è una manifestazione, è per me una risposta anche quando ti manifestassi con una domanda. Non so se è sempre stato così, per me: oggi è così. Forse anche per me è stato diverso, come è per tanti, per i quali qualunque altra esistenza umana è una domanda, anche quando si manifestasse con una risposta.
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