La professoressa Carla Benedetti è tornata dall'America arrabbiata. Le è bastato prendere in mano la Repubblica del 17 giugno scorso, leggere Gustavo Zagrebelsky e poi le pagine culturali con gli interventi di Cortellessa, Archibugi e Berardinelli e subito si è inalberata. Io credo che ella abbia molte ragioni; ma temo che la sua arrabbiatura non porterà quiete nella tempesta che agita i diversi modi d'intendere l'arte, la letteratura... tout court: la vita culturale in Italia.
1 commento:
Vengo a commentare di qua, che di là non posso. Trovo l'articolo di Carla Benedetti di una lucidità disarmante, forse a riprova del fatto che per analizzare lo stato delle cose in Italia sia meglio andare per un po' all'estero.
Trovo in effetti, e da tempo, delle somiglianze inquietanti tra lo stato delle cose in Italia (le compagnie di giro, il fare gruppo chiuso, l'ammazzare ogni potenziale disturbo sul nascere, etc.) e la cultura mafiosa.
Da siciliano di una certa gnerazione, a scuola mi sono beccato tutta una serie di lezioni di antimafia che mi ha fatto molto bene. Ricordo quasi tutti i miei insegnanti spiegarmi fino alla nausa cosa vuol dire "atteggiamento mafioso", "cultura mafiosa", e di come insistessero sul fatto che la mafia ha le radici profonde nella cultura e nella società siciliana. Se si vuole sconfiggere la mafia bisognava cominciare dalle piccole cose di ogni giorno, dal denunciare il compagno di classe "mafiosetto", allo resistere ai piccoli ricatti, al riconoscere ed evitare situazioni "sospette".
Non so se quelle lezioni insistite abbiano avuto influenza positiva sulla lotta alla criminalità mafiosa e sulla società siciliana. Certamente, a me sono servite per riconoscere immediatamente l'atteggiamento mafioso nei comportamenti delle persone, settentrionali o meridionali che fossero. E ti dirò: ho paura che la "cultura" mafiosa si sia ormai diffusa in ogni dove. Anche nei posti più impensabili, come i circoli culturali, purtroppo.
Posta un commento