Sono in vacanza, ho un po' di tempo, lo perdo (ma quanto?) nella sfogliatura de Il Foglio. Oggi ciò che più mi salta all'occhio è l'attacco che il quotidiano di Ferrara sferra al teologo Vito Mancuso, per un articolo di questi pubblicato ieri su la Repubblica. Non tollerano, i foglianti, che i propri ex-collaboratori si stacchino troppo dall'ovile che li aveva generosamente accolti? Non so, è probabile. Di sicuro l'astio è dovuto alla critica mancusiana della gerarchia cattolica, soprattutto al Papa. Uh, come sono suscettibili! Non sopportano proprio che si tocchi l'Autorità suprema da un canto “cristiano” e perdipiù “teologico”! Come può un laico credente permettersi tale affronto!
Scrive Langone:
All’inizio [dell'articolo] ho usato l’aggettivo “girardiano” perché Vito Mancuso è una voce della folla in preda a “crisi mimetica”, la gigantesca intuizione di René Girard per descrivere il delirio di imitazione e invidia che periodicamente imbestia i pagani e non soltanto loro se ben due dei dieci comandamenti mosaici sono impegnati a contenere il desiderio: Non desiderare la roba d’altri, non desiderarne la donna. La cosiddetta pedofilia è il pretesto sollevato da plebi dedite alla pedofobia (contraccezione, selezione genetica, aborto) per distruggere la Chiesa la cui bellezza è uno scandalo, la cui origine divina suscita brama di saccheggio e stupro. Le croci vengano abbattute, le campane tacciano, le cattedrali diventino musei e centri commerciali: qualcosa che dura da duemila anni risulta insopportabile a chi non riesce a camparne cento . La Chiesa è freno e quindi sembra ostacolo, opponendo la legge naturale alla tecnica cieca, incarnando il katechon (per dirla con san Paolo e Carl Schmitt) ovvero la diga che impedisce il dilagare dell’Apocalisse. Dice Emanuele Severino che “un tempo il precetto era: seguire la verità. Oggi non si crede più in essa, resta lo scontro fra le forze”. Quando Mancuso bombarda il magistero è per sostituirlo con la dittatura dei sondaggi, della finanza e dei laboratori scientifici. Quando parla utilizza il linguaggio del linciaggio, il lessico seriale della massa fanatizzata dai media, e non sa far altro che accusare e aizzare. Perché “Satana è l’altro nome della tendenza all’estremo”.
Camillo Langone, uno dei soldati foglianti più fedeli alla linea editoriale, lancia i suoi strali servendosi, malamente, della potente teoria mimetica girardiana. Qualcuno però dovrebbe avvisarlo che la forza di questa teoria è tale che rischia di ribellarsi contro chi la usa, dacché essa coinvolge, da sempre, il criticante e il criticato. Purtroppo Langone non sospetta questo movimento ellittico del desiderio mimetico e se lo ritrova addosso, e lo colpisce di spalle, come un boomerang lanciato da mani inesperte. Certo, Girard non ha mai nascosto il suo essere cattolico osservante che si rimette al magistero della Chiesa Cattolica e alla sua Autorità costituita. Anche il suo ultimo libro, Achever Clausewitz ne dà conferma. Mi sembra di averlo già detto (da qualche parte tempo addietro), ma penso che nel cattolicesimo di René Girard si nasconda un equivoco: il fatto di essere un francese “espatriato” che si è ri-convertito alla fede cristiana quando, giovane ricercatore letterario nelle università americane (Indiana e Stanford University), lavorava ai suoi studi di critica letteraria e di antropologia (non sul campo). Se si prendono infatti i suoi due libri punti di riferimento di tutto il suo pensiero, Menzogna romantica e verità romanzesca e La violenza e il sacro (e non ci si limita alle sue ultime pubblicazioni, come fa Langone) ci si accorge come, in lui vi sia già questa radice cristiana, ma ancora non venga affatto sbandierata, anzi. La sua, come dichiara in numerose interviste lo stesso Girard, è stata in primis una conversione intellettuale vissuta sulla propria pelle e mai esposta come fosse un segno distintivo del suo lavoro; a mio avviso, questo percorso è stato reso possibile dalla situazione particolare in cui Girard si trovò a operare: uno straniero in una terra di numerosi fedi, ove la cattolica, sia pur col suo spessore, non ha lo stesso peso rispetto a quanto ne ha, per esempio, in Francia, e ancor meno in Italia. In breve: se Girard fosse rimasto in Francia, ma soprattutto: se avesse convissuto, sia pur minimamente, anche solo per un semestre accademico, con la tipicità dell'influenza cattolica in Italia, non credo che egli avrebbe avuto gli stessi riguardi per il Vaticano. Questa è una mia impressione, si badi bene, che non vuol certo togliere a Girard quel che è di Girard ossia il suo essere un consapevole e convinto cattolico tradizionalista.
Ma il discorso sarebbe lungo, questo è solo un abbozzo che cercherò, spero presto, di riprendere.
Adesso, quello che mi preme sottolineare è verificare se davvero Mancuso utilizza il «linguaggio del linciaggio»:
«Ma com'è possibile che nella Chiesa tanti crimini siano stati occultati e che all'interesse delle vittime sia stato preferito quello dei loro aguzzini? La risposta a mio avviso consiste nella teologia elaborata lungo i secoli che ha condotto a una vera e propria idolatria della struttura politica della Chiesa, a una sorta di sequestro dell'intelligenza da parte della struttura per affermare se stessa sopra ogni cosa, il cui inizio si può emblematicamente collocare, come già intuito da Dante, nella stesura del falso documento conosciuto come "Donazione di Costantino" da parte della cancelleria papale (documento svelato come falso da Lorenzo Valla nel 1440). Questa teologia ecclesiastica ha condotto a fare dell'obbedienza alla Chiesa gerarchica il segno distintivo dell'essere cattolico: il cattolico è anzitutto colui che obbedisce al papa e ai vescovi. Se non obbedisci, non sei cattolico. Dante non lo sarebbe più, neppure san Paolo, che ebbe l' ardire di opporsi pubblicamente a Pietro, non potrebbe far parte di questa Chiesa cattolica. Al termine degli Esercizi spirituali così Ignazio di Loyola illustrava il rapporto con la verità che deve avere il cattolico: "Quello che io vedo bianco, lo credo nero se lo stabilisce la Chiesa gerarchica».
Ora, io non sono un teologo (non lo è nemmeno Langone) ma mi sembra che il linguaggio critico di Mancuso alla Chiesa sia troppo circostanziato per essere paragonato a un sasso pronto alla lapidazione: più che un sasso, quello di Mancuso, è uno scalpello come di chi abbia ancora la voglia, la forza, la speranza di modificare, nel piccolo, i sepolcri imbiancati che le Autorità religiose cattoliche rappresentano.
Il “lessico seriale” è invece quello di Langone la cui aderenza alla Chiesa mi ricorda quella degli ultimi pagani che, illusi dal successo temporaneo, mondano dei vari Giuliani gli apostati (ad usum Delphini) non si rendono conto che tutti gli dèi, anche quelli cristiani, sono giù per terra, e che l'unica possibilità di salvezza sta nell'Apocalisse (Rivelazione, appunto): la Chiesa, è una delle forze in campo: essa è Potestà essa è Principato essa è Satana, ovvero l'Avversario. In breve, la Chiesa incarna da sempre, per lo meno da Costantino in poi, il Grande Inquisitore di dostoevskiana memoria.
Pretendere di essere il vero custode della verità della vittima e non trarre da questo tutte le dovute conseguenze vuol dire averne paura: aver paura cioè di finire sulla Croce. La vera vittoria nasce sempre, cristianamente, da una sconfitta: occorre perdere per trionfare ma non ditelo a Langone, altrimenti va subito a smontare le campane di una chiesa per diventare direttore commerciale di un supermercato sorto di poi nella stessa.
3 commenti:
Nulla da aggiungere, posso solo divulgare. Complimenti.
Grazie Gians, troppo buono
:-)
BEllissimo post Luca. Davvero.
Comunque su Langone non ci spenderei troppo tempo. E' fuori di testa.
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