Allora, le cose stanno in questi termini.
Ho “aperto” questo mio blog con il mio nome e cognome, lucamassaro.blogspot.com (mi ritrovo benissimo nelle motivazioni di questo splendido post di Metilparaben). Successivamente, sulla scia dei blog che prediligo¹, ho dato un nome suo proprio al mio blog.
Un tal Lucas, riprendendo il titolo di un racconto di Luìs Sépulveda, tratto da Le rose di Atacama, Guanda (qui le ragioni, e anche qui). Da tale racconto son venuto a sapere che il suddetto titolo era preso in prestito da un più lungo racconto dello scrittore argentino Julio Cortàzar.
Di quest'ultimo, giuro, non sapevo altro che il nome e il fatto che egli era ed è considerato uno dei massimi scrittori latino-americani del Novecento: di lui avevo sfogliato solo un breve libro di racconti, Storie di cronopios e di fama, Einaudi.
Popinga, tempo fa, scrisse un mirabile post omaggio allo stesso Cortàzar. Me ne invogliò la lettura, ma attesi.
Alcuni giorni or sono ho scritto un mail di stima a uno dei pochi collaboratori (non continuativi, nel senso che non lo si trova con una frequenza settimanale) della Domenica del Sole 24 Ore che vale la pena di leggere: Gianluigi Ricuperati.
Egli ha avuto la benevolenza di rispondere ai miei complimenti, ringraziandomi e sorprendendosi che il titolo del mio blog fosse lo stesso di un libro di Cortazàr.
Allora ho cominciato a reperire i libri dello scrittore argentino. Adesso sto leggendo Un viaggio premio, Einaudi, e alcuni dei Racconti della prestigiosa Biblioteca della Pléiade (una collana Einaudi-Gallimard). In quest'ultima edizione è contenuto anche il lungo racconto Un tal Lucas. Ieri, con un misto di curiosità e timore, ho iniziato a leggere, a leggermi. A stupirmi. A dirmi: che meraviglia. Che fortuna. Serendipità. Sono basito davvero. Altro che il teletrasporto nel tempo o nello spazio. Leggere Cortàzar è conoscere non un pianeta, né un sistema solare, ma un'intera galassia. Io non so che dire, solo che sono incredibilmente contento di aver dato al mio blog il nome di Un tal Lucas.
Non posso, per ovvie ragioni, riportare tutto quanto sto leggendo, ma credetemi: sarebbe da copia-incollare². Tuttavia, permettetemi di riportare questo capitoletto:
LUCAS, LE SUE COMUNICAZIONI
Siccome non scrive solamente, ma gli piace anche passare dall'altra parte e leggere quello che scrivono gli altri, Lucas si sorprende talvolta di quanto gli riesca difficile capire certe cose. Non che siano argomenti particolarmente astrusi (orribile parola, pensa Lucas che tende a soppesare i termini sul palmo della mano e a familiarizzare con loro o a rifiutarli a seconda del colore, del profumo o del tatto), ma all'improvviso c'è come un vetro sporco fra lui e quello che sta leggendo, da cui impazienza, rilettura forzata, incazzatura in arrivo e infine gran volo della rivista o del libro contro la parete più prossima con relativa caduta e sordo plof.
Quando le letture finiscono così, Lucas si domanda cosa diavolo possa essere accaduto nell'apparentemente banale passaggio dall'enunciante all'enunciato. Domandarselo gli costa fatica, perché per quanto lo riguarda non si pone mai tale questione e per rarefatta che sia l'aria della propria scrittura, per tanto che certe cose possano arrivargli e imporsi solo al termine di lunghi travagli, Lucas non dimentica mai di verificare se l'arrivo sia valido e se il suo imporsi sia indolore o meno. Gli importa poco della situazione dei singoli lettori perché crede, in misura misteriosamente multiforme, che nella maggior parte dei casi andrà a pennello come un vestito su misura, non rendendosi perciò necessario cedere terreno né all'andata né al ritorno: fra lui e gli altri ci sarà sempre un ponte finché lo scritto nascerà da seme e non da innesto. Nelle sue più deliranti invenzioni c'è talvolta qualcosa di così semplice, di così rubamazzetto. Non si tratta di scrivere per gli altri ma per se stessi, ma se stesso deve anche essere gli altri; così elementary, my dear Watson, che è quasi avvilente, e vien da domandarsi se non ci sia un'inconsapevole demagogia in quella solidarietà fra mittente, messaggio e destinatario. Lucas osserva la parola destinatario sul palmo della mano, le sfiora il dorso e la restituisce al suo limbo incerto; non gli importa un fico secco del destinatario visto che ce l'ha lì, a portata di mano, a scrivere quello che lui legge e a leggere quello che lui scrive, quante storie.
Julio Cortàzar, Un tal Lucas, Einaudi-Gallimard, Torino 1994 (traduzione di Vittoria Martinetto).
Che onore dunque per me avere questo nome del blog. Ma soprattutto: che onere. Ci tornerò sopra.
¹Vado a braccio, mi perdonino i non citati: Galatea, Malvino, Formamentis, L'Estinto, Fabristol, Weissbach, Eschaton, Due colonne di taglio basso, Piovono rane, Gians, Granturchese (già Devarim), Tommy David, Vibrisse, Brotture, Nonmoltocredente, Noncontromaper, Nonleggerequestoblog, Manteblog, Ealcinemavaccitu, L'amorale (già IliadeXXXIII: torna Alex, mi manchi), Leucophaea, Nonunacosaseria, Phastidio e altri che aggiungerò domani (così come domani vi linkerò, ora è tardi scusate).
²Caro Formamentis, sai che trovo molte similitudini tra i tuoi salti nell'iperreale e quelli di Cortàzar?
6 commenti:
Ora hai fatto venire la curiosità pure a me, domani sarò da Feltrinelli a cercare una copia del tuo omonimo. ;)
Leggeremo fianco fianco, "come ciclisti gregari in fuga".
:-)
Mi hai venire una curiosità!
grazie per l'appello
Ma questo blog è un castello incantato!
Posta un commento